La professione di mio padre non si svolgeva mai a “domicilio”, tranne per un evento straordinario.
La nobile famiglia del paese dei Marchesi Ruccellotti si trovò costretta restaurare il proprio patrimonio immobiliare a causa del degrado strutturale in cui si trovavano tutti gli edifici di proprietà.
Tale patrimonio consisteva in:
-Villa padronale con annesso giardino e orto botanico
-Residenza per il “fattore” e la sua famiglia
-Scuderia e stalle verie
-Limonaia (gigantesca)
-Cappella privata.
Il lavoro, affidato ad una ditta specializzata della città, progrediva rispettando i tempi di “consegna” e in modo corretto, fintanto che i manovali specializzati della suddetta si opposero a svolgere il lavoro di esumazione dei cari avi sepolti nella Cappella di Famiglia.
Dopo varie discussioni, venne deciso di chiedere al bravo custode del cimitero di eseguire tali lavori.
Mio padre accettò ma si trovava a corto di mano d'opera. Vittorione ideologicamente contrario a svolgere qualsiasi servizio in casa di aristocratici ed Enzino, per un suo non ben precisato “voto”, non poteva entrare inella residenza dei Marchesi. Così, insieme a mio fratello fui arruolato anch'io.
Dodici salme, divisi in sarcofagi e loculi. Tutti riposavano da oltre 50 anni e sicuramente necessitavano l'esumazione richiesta per una meritata nuova collocazione dei loro resti mortali.
Avevo già partecipato ad un'esumazione, anche se con esito non totalmente positivo, per cui ero pronto a far ricredere Remo sulle mie doti professionali.
Il mio ruolo consisteva in depositare le ossa, che Remo e Andrea opportunamente ripulivano e ne identificavano l'appartenenza, in una sorta di scatola di stagno.
Munito di guanti di gomma, che potevano essere da giardinaggio o da casalinga per lavare i piatti, prendevo con delicatezza i pezzi che mi passavano uno ad uno e li ponevo con cura ognuno nelle proprie scatole.
Tra quelle dodici salme c'era anche uno sfortunato avo dei Marchesi scomparso quando aveva poco più di due anni, e quando mio fratello mi passò la calotta cranica del bambino con “appiccicati” ancora i pochi biondeggianti capelli del nobile infante, le mie mani non riuscirono a stringerla come dovevano lasciandola cadere in terra.
La sera a casa, mio Padre, che mi vedeva ancora leggermente turbato per quell'esperienza, tentò di tranquillizzarmi raccontando le sue esperienze di esumazioni dove trovava scheletri in posizione non “consona” lasciando capire che il malcapitato era stato erroneamente valutato come defunto e quindi seppellito vivo. Chissà perchè Remo pensava che quei racconti potessero esorcizzare in qualche modo la mia esperienza, forse perchè tra le righe dei racconti mio padre dovevo leggere e capire che potrebbe andare sempre peggio.
Comunque ci pensò Bianca a rimediare, regalandomi un salvadanaio a forma di bara dove sulla base superiore si poneva una moneta e da sotto un pezzo di stoffa nero usciva una mano di scheletro per carpire la moneta ed introdurla nella bara e per finire un teschio emergeva per ringraziare del lauto deposito.
Mi permetto di affermare che questo inconsueto metodo pedagogico di mia madre, funzionò egregiamente.