perennemente in viaggio

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perennemente in viaggio ...sempre in classe economica...

mercoledì 20 giugno 2012

L'ultima epigrafe (al pantografo).



36° episodio de "L'Aiuto Becchino"


Teatro dell'illusione e illusiorietà dell'esistenza, inganno e disinganno e la teatralità della vita.

Pierre Corneille “l'Illusion Comique” (1660)
atto primo scena prima
Dorante:
Il mago che a un suo cenno ribalta la natura, come palazzo ha scelto questa spelonca cupa. La notte che lui stende sull'orrida dimora scostando il fitto velo soltanto a un falso giorno di quella luce incerta in questi luoghi ammette solo quanto il rapporto con le ombre concede. Non spingetevi oltre; ai piedi della roccia ha disposto il castigo per chi tenta l'approccio: e l'antro che vedete è un muro invisibile di aria in sua difesa del tutto inaccessibile che gli fa da bastione. Su questi funesti orli uno strato di polvere ricopre mille morti. Temendo alla sua quiete più che alla sua difesa annienta gli importuni insieme a chi gli offende. Frenate l'impazienza e la curiosità, occorre per parlagli che si senta a suo agio. Tra poco lui farà la solita comparsa e fuori dalla grotta uscirà a ricrearsi.”

Avevo voglia di terra ferma. Togliere le ancore dalla casa che era diventata semplicemente il pontile della mia isola da cui mi sentivo quasi minacciato.
Gli anni della scuola media passarono velocemente tra le pseudo avventure con gli amici e le mie nuove mansioni nel giardino. Remo si era dotato di mezzi tecnologici nuovi per affrontare la manuntezione ordinaria del cimitero e i lavori con il marmo. Mi ero offerto di tagliare periodicamente l'erba nei “quadri” con il potente tagliaerba elettrico, di recente acquisto e avevo imparato ad usare il “pantografo”, desiderato e voluto fortemente da mio fratello Andrea. Il pantografo era una sorta di copiatore meccanico costituito da due punte guidate in parallelo da un braccio che veniva guidato dall'operatore. Una punta seguiva un disegno, un angelo, il volto di Gesù afflitto, etc.. oppure le lettere con cui realizzare l'epigrafi sulla lapide. L'altra punta incideva sul marmo perfettamente ciò che la prima “copiava”. Forse a causa di questa macchina decisi che il mio futuro fosse l'istruzione tecnica superiore per geometri. Immaginavo che la professione del geometra sarebbe stata la più adatta alle mie aspirazioni di falso disegnatore. Ero bravo a copiare quei disegni di immagini dolci e malinconiche. Copiavo nomi, date e immagini di vite finite di tanti ex abitanti di questo mondo, omaggiandoli con l'ultimo loro segno lasciato ai viventi, inciso sul marmo.

Cominciai a frequentare in città, l'istituto tecnico per Geometri. La scuola era vicina alla casa di mia zia Liliana ed io, spesso mi fermavo da lei prima di tornare a casa. I nuovi amici, la scoperta della città, le prime emozioni erotiche e l'impegno politico e culturale che stavo vivendo con frenesia e avidità; mi portò a supplicare mia madre che mi desse il permesso di soggiornare per tutta la stagione scolastica da mia zia.
Così lasciai entusiasta la mia isola a favore della nuova vita cittadina.
Avevo un appetito straordinario di novità e vita in genere. Ogni cosa che mi capitava la divoravo immediatamente, accumolavo in eccesso quelle vibrazioni vitali che rischiavo “l'obesità energetica”.
Mi sentivo pronto ad affrontare tutto ciò che mi sarebbe successo nella vita.

Nella mia vita avrei potuto gioire e soffrire, far gioire e far soffrire, viaggiare e sognare, impegnarmi e riposarmi, incazzarmi e umiliarmi, deprimermi ed esaltarmi.
Avrei potuto innamorarmi fino allo sfinimento e avrei potuto desiderare di morire all'istante, avrei potuto ascoltare e fare l'indifferente.
Inoltre avrei potuto sposarmi, fare un figlio e separarmi, avrei potuto vedere morire entrambi I genitori e amici cari, avrei potuto cadere in difficoltà economiche e risalire con grande sacrificio, avrei potuto diventare servo del potere ed un eroe mancato.
Avrei potuto riconquistare l'amore delle persone a me vicine  trovando nuovi stimoli e nuovi amori.
Insomma avrei fatto tutto quello che le persone normali fanno nella vita.

Ma, un'estate in cui tornavo a bagnarmi nelle acque della mia isola, Remo si rivolse a me chiedendomi come mi andava.
Babbo, vado piano ma sempre avanti
Risposi orgoglioso, con il suo unico consiglio che mi aveva dato. 
Dopo poco andai in paese per controllare gli eventuali cambiamenti che aveva subito in mia assenza.
Incontrai alcuni amici che mi invitarono a fare il bagno nel fiume locale. Tra loro, anche Angela. Con riluttanza accettai. Angela mi sorrise e giunti nei pressi del fiume, tutti si spogliarono per il tuffo collettivo nell'acqua fresca.
Guardando negli occhi Angela mi scordai che non avevo la benchè minima nozione di nuoto e non capivo perchè stavo facendo una cosa del genere.
I raggi del sole filtravano dall'alto nell'acqua ed io vedevo l'immagine liquida di Angela che si allontanava e più tentavo di emergere, più la sua immagine diventava indistinta e sfocata.

Una corrente mi trascinò miseramente a fondo. Mi voltai per capire da dove provenisse quella forza impetuosa e mi parve di scorgere due enormi campane sottomarine che oscillando alternamente tra loro producevano quel fatale vortice.

I raggi di luce si spensero ed io, lentamente, tornai nella mia isola.

Io ero morto ma la vita e la storia continuano.


lunedì 11 giugno 2012

La coppia di gatti siamesi e la paura.


35° episodio de "L'aiuto becchino"


L'assestamento morfologico e vitale della mia famiglia, procedeva spedito in un'unica direzione quella del “continente”.  Avevo lasciato l'isola.  
Frequentavo la scuola media pubblica, Angela non era più una mia compagna di classe ed io la sostituii con amici maschi che dimostravano il loro coraggio virile con sporadiche visite a casa mia. Visite che finivano sempre con una avventurosa caccia alla lucertole tra le lapide più vecchie. 
In queste occasioni poteva vestire i panni di “Caronte” guidando gli incauti nuovi amici nei meandri del mio giardino. Angoli scuri di cappelle trascurate dai visitatori, i meandri delle file dei loculi abbandonati fino ad arrivare al fantomatico ossario, del quale, avvicinandomi alla porticina d'entrata raccontavo quel luogo proibito nei minimi particolari. Poi arrivava la leggenda del guanto nero, che Aurelia, sapientemente narrava a noi poveri nipoti.

Nonostante questo mio nuovo ruolo, che permetteva di crearmi una aurea di fascino e mistero intorno a me, io mi sentivo quasi a disagio, come se non mi riconoscessi più nel mio stesso luogo d'infanzia.  Alla fine dei miei racconti, quello più spaventato ero io.



Nel frattempo il viaggio nel continente di Bianca procedeva a gonfie vele. Le visite delle due sorelle,  Onelia e Liliana, diventarono più assidue e quegli incontri, conditi da tè e biscotti, assumevano l'aspetto di un vero e prorio “salotto-bene” in cui aggiornarsi sulle vicende delle rispettive famiglie e commentare i protagonisti dei programmi televisivi più seguiti. 
Le tre donne mature, cresciute in un luogo estremo che avevano attraversato difficoltà incredibili e affrontato situazioni al limite della realtà, improvvisamente si erano trasformate in tre rispettabilissime lady dell'alta società che amabilmente conversavano del più e del meno, sorseggiando una buona tazza di tè.

Da questi incontri, forse, Bianca partorì l'idea di acquistare una coppia di gatti siamesi. Ritenuti indispensabili per presentarsi adeguatamente nel continente. 
Il continente di mia madre era la spiaggia con ombrellone nello stabilimento balneare vicino alla città delle pietre sante, dove ci recavamo dagli scultori per rifornirci di materiale marmoreo. 
Nel pieno della stagione, nel periodo ferragostano, mia madre ed io ci presentammo in spiaggia entrambi con un paio di occhiali da sole versione extralarge ed una bellissima coppia di gatti siamesi a guinzaglio.
Le povere bestiole, costrette a diventare oggetti dimostrativi dello status raggiunto, soffrivano non poco del caldo estivo e facevano del loro meglio per adeguarsi a quella immensa lettiera in cui si ritrovavano.
Il periodo “marino” della famiglia, veniva trascorso ormai solo da me e mia madre. Remo troppo occupato da quel lavoro “che non muore mai” e le mie sorelle dispensate per età e per sopraggiunti impegni sentimentali. 
Così, per la prima volta, quell'estate mi trovavo a passare da solo con mia madre e i siamesi la vacanza estiva e per la prima volta subivo un disagio causato dalla compagnia materna.

Agognavo il ritorno alla mia “Itaca” e contemporaneamente pensavo a casa con spavento.
Sorgeva spontaneamente un latente e incomprensibile senso di paura.

Dei siamesi, fortunatamente ho rimosso il ricordo della loro “fine”, ma ricordo bene che quell'estate furono il principale oggetto di discussione in tutta la costa tirrenica.


martedì 5 giugno 2012

Post riflessivo a posteriori n.4


“Il passato non è una terra straniera, semmai la patria lontana, ed è piuttosto il presente a essere straniero”.
Messaggero d'amore di J. Losey

"La nostalgia è indispensabile alla gestione dell'io e delle sue discontinuità: le paure e i disagi del presente, minacce per la conservazione dell'identità personale dei soggetti, vengono bilanciate dal richiamo un sé precedente, cha al limite può anche essere più bizzarro ed esclusivo di quello presente....garantisce la coesione dell'io in una doppia direzione: da un lato certificando la non completa appartenenza al proprio ruolo sociale (io non coincido con la mia professione o il mio status attuale, in me c'è dell'altro: il consumatore di fumetti o di canzonette di cui in apparenza vergognarsi).
La memoria è un procedimento mentale, che riguarda certo i sentimenti e le emozioni, ma appartiene anche (anzi soprattutto) alla sfera della conoscenza. La nostalgia è un sentimento, una passione avrebbero detto i filosofi."
L'invenzione della nostalgia di Emiliano Morreale

Forse siamo sospesi tra passato e ricordo, tra verità e magia, tra percezione e illusione...
Ma ricordare fa male?