35° episodio de "L'aiuto becchino"
L'assestamento morfologico e vitale della mia famiglia, procedeva spedito in un'unica direzione quella del “continente”. Avevo lasciato l'isola.
Frequentavo la scuola media pubblica, Angela non era più una mia compagna di classe ed io la sostituii con amici maschi che dimostravano il loro coraggio virile con sporadiche visite a casa mia. Visite che finivano sempre con una avventurosa caccia alla lucertole tra le lapide più vecchie.
In queste occasioni poteva vestire i panni di “Caronte” guidando gli incauti nuovi amici nei meandri del mio giardino. Angoli scuri di cappelle trascurate dai visitatori, i meandri delle file dei loculi abbandonati fino ad arrivare al fantomatico ossario, del quale, avvicinandomi alla porticina d'entrata raccontavo quel luogo proibito nei minimi particolari. Poi arrivava la leggenda del guanto nero, che Aurelia, sapientemente narrava a noi poveri nipoti.
Nonostante questo mio nuovo ruolo, che permetteva di crearmi una aurea di fascino e mistero intorno a me, io mi sentivo quasi a disagio, come se non mi riconoscessi più nel mio stesso luogo d'infanzia. Alla fine dei miei racconti, quello più spaventato ero io.
Nel frattempo il viaggio nel continente di Bianca procedeva a gonfie vele. Le visite delle due sorelle, Onelia e Liliana, diventarono più assidue e quegli incontri, conditi da tè e biscotti, assumevano l'aspetto di un vero e prorio “salotto-bene” in cui aggiornarsi sulle vicende delle rispettive famiglie e commentare i protagonisti dei programmi televisivi più seguiti.
Le tre donne mature, cresciute in un luogo estremo che avevano attraversato difficoltà incredibili e affrontato situazioni al limite della realtà, improvvisamente si erano trasformate in tre rispettabilissime lady dell'alta società che amabilmente conversavano del più e del meno, sorseggiando una buona tazza di tè.
Da questi incontri, forse, Bianca partorì l'idea di acquistare una coppia di gatti siamesi. Ritenuti indispensabili per presentarsi adeguatamente nel continente.
Il continente di mia madre era la spiaggia con ombrellone nello stabilimento balneare vicino alla città delle pietre sante, dove ci recavamo dagli scultori per rifornirci di materiale marmoreo.
Nel pieno della stagione, nel periodo ferragostano, mia madre ed io ci presentammo in spiaggia entrambi con un paio di occhiali da sole versione extralarge ed una bellissima coppia di gatti siamesi a guinzaglio.
Le povere bestiole, costrette a diventare oggetti dimostrativi dello status raggiunto, soffrivano non poco del caldo estivo e facevano del loro meglio per adeguarsi a quella immensa lettiera in cui si ritrovavano.
Il periodo “marino” della famiglia, veniva trascorso ormai solo da me e mia madre. Remo troppo occupato da quel lavoro “che non muore mai” e le mie sorelle dispensate per età e per sopraggiunti impegni sentimentali.
Così, per la prima volta, quell'estate mi trovavo a passare da solo con mia madre e i siamesi la vacanza estiva e per la prima volta subivo un disagio causato dalla compagnia materna.
Agognavo il ritorno alla mia “Itaca” e contemporaneamente pensavo a casa con spavento.
Sorgeva spontaneamente un latente e incomprensibile senso di paura.
Dei siamesi, fortunatamente ho rimosso il ricordo della loro “fine”, ma ricordo bene che quell'estate furono il principale oggetto di discussione in tutta la costa tirrenica.
"Nonostante questo mio nuovo ruolo, che permetteva di crearmi una aurea di fascino e mistero intorno a me, io mi sentivo quasi a disagio, come se non mi riconoscessi più nel mio stesso luogo d'infanzia. Alla fine dei miei racconti, quello più spaventato ero io."
RispondiEliminaMA STAI PARLANDO DI CINELANDIA??!!
Non è cambiato niente...