perennemente in viaggio

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perennemente in viaggio ...sempre in classe economica...

giovedì 3 maggio 2012

Lo Stress da trasloco in bara con cucina economica.


32° episodio de "L'Aiuto Becchino"



La piccola rivoluzione che aveva coinvolto la mia famiglia stava per giungere all’epilogo finale. Mancava il trasloco nella nuova abitazione distante ben 10 metri dal cimitero e sembrava che questa residenza mi allontanasse definitivamente dal mio strano giardino d’infanzia. 
La fisionomia della famiglia aveva subito variazioni radicali con la partenza di Aurelia e Andrea, anche se per motivi diversi tra loro, e Bianca sembrava percepire che Graziella e Gabriella sarebbero state le prossime ad essere coinvolte negli inevitabili cambiamenti futuri.

In breve tempo Andrea, anche se con latente rassegnazione, aveva sistemato la nuova propria situazione familiare ma continuava ad aiutare Remo con i lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione del giardino. Questo gli permetteva di pranzare ancora con noi quasi tutti i giorni. Poteva gustare i manicaretti della Bianca all’aroma di polvere di marmo, permettendogli di sentire meno il distacco da quell’ambiente che ci aveva cresciuti tutti quanti.

E arrivò il giorno della casa nuova. Da questo momento avevamo due settimane di tempo per arredarla e traslocare tutto quanto, compreso le attività di mio padre. Questo consisteva nel preparare lo “show room” delle casse al piano terra, dove oltretutto ci era imposto di utilizzarlo anche come garage per la nuova automobile funebre. Contemporaneamente, mio padre costruì, abusivamente, nel retro della casa una sorta di capanna adibita a laboratorio del marmista nonché a pollaio. Vi furono collocati i nostri preziosi amici pennuti, ai quali furono aggiunti “contenitori” atti ad ospitare due coppie di conigli, che mio padre decise di acquistare arricchendo così il nostro personale allevamento di carne. 
La capanna in questione divenne il laboratorio di marmista più vivo che fosse mai esistito, dove, tra marmi da decorare e accessori affini, poteva saltare fuori una covata di uova o piccoli pulcini spauriti che “rimbalzavano” tra una croce di bronzo e una cornice con foto del caro estinto.

Ovviamente il piano superiore fu lasciato in mano alle donne per scegliere lo stile dei mobili e l’assegnazione delle stanze. Essendo rimasti solo in cinque, io potevo usufruire di una camera esclusivamente per me. Mentre le mie sorelle si dovevano dividere l’altra. 
In una cosa Remo fu categorico: che in sala da pranzo, oltre ai fornelli a gas, ci fosse la solita cucina economica a legna, elemento imprescindibile per la cottura di una buona e vera polenta di farina gialla. In cambiò lasciò libera Bianca nella scelta dei mobili per il “salotto buono”. Qui la mia memoria è stata generosa, di sua iniziativa ha rimosso il ricordo di questi mobili e  soprammobili connessi, come l’enorme bambola sul letto matrimoniale che mia madre aveva preteso a dimostrazione del ritrovato successo sociale di tutta la famiglia. Un sogno che finalmente a Bianca le si era avverato.

Nel giro delle due settimane richieste dalla Arciconfraternita era stato eseguito tutto il trasloco, compreso l’insediamento. Il mezzo di trasporto degli infiniti elementi che costituivano lo scheletro materiale della nostra famiglia, compreso la cucina economica, era la “bara”. 
Remo identificava la bara non con la “cassa da morto”, bensì con quella pseudo lettiga con cui trasportavamo la cassa una volta uscita dal carro funebre fino al luogo di residenza finale del defunto. 
La nostra bara costruita in legno massiccio ma ridipinta più volte con uno smalto color fucsia scuro, così almeno a me pareva, era lunga a sufficienza per depositare ogni tipo di cassa e finiva agli estremi con quattro manici consunti e rovinati dal continuo uso. Il tutto era sostenuto da quattro ruote, le quali non riuscivano mai a mantenere la direzione intrapresa. Ogni volta che ci trasportavamo le casse questo ultimo tragitto che il defunto doveva adempiere nei viali del cimitero era contrassegnato da una fugace serpentina a zig zag e spesso il corteo assumeva l’andamento della bara. 
Insomma, la bara era uno strumento fondamentale per l'attività quotidiana del nostro giardino. E in virtù dell’autorevolezza del mestiere e delle radici longobarde, Remo impose a tutti di distinguere bene la "bara" dalla "cassa". 

Vedere la bara sorreggere uno strumento di cucina e non la solita cosa fu emblematico della nostra piccola grande rivoluzione in atto.



1 commento:

  1. Bellissimo articolo Giacomo. Il trasloco è un cambiamento, che può essere positivo o negativo. L'importante è ricordare sempre che siamo noi a decidere se renderlo un cambiamento che migliora o peggiora la nostra vita.

    Un saluto
    Stefano

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