perennemente in viaggio

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perennemente in viaggio ...sempre in classe economica...

giovedì 15 dicembre 2011

Campisanti e campi di sterminio

Questo personale "romanzo d'appendice" continua con un sapore leggermente agrodolce come...
8° episodio de "L'aiuto Becchino"
 
Il pomeriggio a casa si tenne il funerale della signora di mezz'età. Remo vietò a mio fratello Andrea di uscire e partecipare alla funzione, così fui io a sostituirlo. Andrea aveva confessato alla nonna l'intenzione di sposare Anna, e la nonna tentava di dissuaderlo.
Il corteo funebre arrivò al cancello del giardino seguito da molte persone, tra cui Marco, il tecnico TV. Marco era un lontano parente della signora ma non perdeva occasione per rivedere mia sorella. Era molto che non vedevo Marco e la sua visita mi fu assai gradita.
Nel frattempo il feretro aveva raggiunto la sua "residenza". Remo aiutato da Vittorione e per l'occasione anche da Enzino, calavano la cassa nella fossa, opportunamente preparata in anticipo. Nel ricoprire lo scavo subentrai anch'io che a fianco di Vittorione mi davo un gran da fare con la vanga. Remo si attardava con i parenti a parlare sommessamente. Alcuni gli stringevano la mano, altri, freschi della notizia di Andrea e Anna, si allontanavano visibilmente contrariati.
Marco stava parlando con Andrea, voleva confortarlo e rassicurarlo per il futuro, nel frattempo cercava continuamente lo sguardo di Graziella che veniva sostituita brillantemente dall'altra sorella.

Finito di riassettare il nuovo "appartamento", volevo aggiungere il nome della nuova arrivata: Laudomia, sul mio quadernetto-registro, ma fui assalito alle spalle da Vittorione. Vittorione era intenzionato a fare una vera e propria disquisizione sull'ipocrisia della gente. Rabbia ed ingenuità erano mischiate nelle sentenze che sputava da quella bocca composta ormai da pochi denti malfermi, cominciò a sentenziare come le lacrime dei parenti scomparissero velocemente una volta oltrepassato il cancello. M'invitava a non giudicare e a sorvolare sugli scherzi dei ragazzi ed a considerarmi fortunato di abitare in quello strano luogo.  Poi una pausa, le parole di Vittorione si fecero più quiete, gli occhi cominciarono a velarsi d'impercettibili lacrime e fece cenno ad una strana divisione del genere umano composto da fortunati e sfortunati.
Parlava a ruota libera senza che osassi interromperlo, attratto com'ero da quell'oscuro discorso che stava per fare.
In quella divisione, lui si poneva nel mezzo, si riteneva fortunato di essere uscito da un campo di sterminio ed allo stesso tempo sfortunato perché non vi era morto.
Aveva un passato tremendo, dopo la perdita di entrambi genitori, era stato catapultato in guerra dove, fatto prigioniero, fu deportato in Germania. La sua tenacia e la forte tempra riuscirono a farlo sopravvivere ma ad un prezzo altissimo, che lo condannava ad una esistenza piena di rimorsi ed angosce. Mi raccontava che accettò di "collaborare" in quel campo, per ottenere una migliore condizione di prigionia, doveva fare "l'infermiere", costretto a gettare nelle fiamme le povere carcasse dei suoi stessi compagni. Una volta liberato, sopravvissuto con pochi altri e tornato al paese, non trovò di meglio che continuare in qualche modo quello per cui si riteneva dannato. Doveva espiare la propria colpa, perché affermava:
" Nella morte non c'è dignità, ma questo luogo può essere il tuo vero maestro".


Gelato completamente da quel racconto, coglievo alcuni momenti di vera tristezza negli occhi di Vittorione, poi m'invitò a seguirlo nell'ossario comune del nostro giardino, perché dovevo approfittare ed apprendere tutto da quel luogo ed una volta acquisito tutte le possibili lezioni, lasciarlo al più presto.

"L'ossario Comune" era l'unico luogo del giardino che mio padre mi vietava di visitare.
Quel divieto non l'avevo mai capito, mi sembrava un'assurdità. Quindi seguii volentieri Vittorione.
Quella stanza segreta del condominio, era posta negli scantinati della cappella centrale e vi si accedeva attraverso una piccola porta in metallo, poco lontana dal nostro altrettanto segreto pollaio. Le chiavi della porticina le aveva solo Remo il quale era troppo preso dalla ennesima discussione con Andrea. Vittorione, aveva preso intanto oltre alle chiavi anche una torcia elettrica. Ero pronto e fremevo all’idea di scoprire il segreto di quella stanza. Davanti a noi solo la porticina di metallo che Vittorione aprì subito.

La prima cosa che vidi fu una serpe scivolare velocemente a lato della parete umida. Vittorione spostò la torcia e nella direzione della luce scorsi alcuni mucchietti d'ossa ben ordinate e suddivise per grandezza, ancora due passi e s'illuminò un muro, un vero e proprio muro intero costituito da teschi perfettamente allineati tra loro i quali formavano una sorta di intreccio geometrico che nessuna trama di tessuto per quanto perfetta fosse, poteva superare. Una visione tetra ed affascinate allo stesso momento.
Vittorione si voltò verso di me e con l'aria di chi avesse compiuto una prodezza e pieno di soddisfazione, mi chiese: "Capisci ora?"
Non feci in tempo a riflettere su quella domanda, che sopraggiunse Remo, rosso in volto e sbraitante contro Vittorione. Il divieto che avevo infranto, era una sorta d'ingenua tutela della mia psiche, che al momento era molto più turbata dal racconto di Vittorione che dalla vista di quell'"arabescante" muro.

1 commento:

  1. Di solito si arriva a questa dimestichezza con la morte solo in tarda età. Tu ci sei nato e cresciuto e, ora come ora, la considero una fortuna: per la consapevolezza della temporaneità, per l'attribuzione dei veri valori, etc. Ma non so immaginarmi l'impatto di tutto questo in una psiche giovane. Forse i bambini sono più "tosti" di quanto crediamo, forse la sensibilità arriva dopo. Ho come l'impressione che tu abbia dovuto "rimuovere" i tuoi ricordi e solamente ora li stia accettando con affetto.
    Grazie di farci partecipi.

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