perennemente in viaggio

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perennemente in viaggio ...sempre in classe economica...

sabato 3 dicembre 2011

"Nel Paese dove nulla sembra aver senso."

Come ottenere senso e verità dalle opere di fantasia? 



6° puntata de "L'aiuto becchino

Sulla strada di ritorno, sorgeva il circolo più frequentato del paese dove Remo sporadicamente si soffermava per un bicchierino di buon vino. Gli avventori, in maggioranza anziani, erano abili nell'instaurare qualsiasi conversazione sugli argomenti più disparati, purché si concludesse con una salutare alzata di bicchieri. Dopo il brindisi finale, tra una partita a carte e l'altra, la fatidica richiesta a Remo: 
"Fai in modo di allontanare Vittorione dal cimitero!" 
Vittorione per giungere al mio giardino, attraversava tutto il paese in sella alla sua bicicletta da donna. Questo sgangherato mezzo di locomozione, Vittorione lo aveva personalizzato decorandolo con arrugginite corone di rosari e crocifissi, "strappati" ai defunti esumati. Quel decoro costituiva una sorta di pro-memoria dei servizi svolti al cimitero, come un pilota in guerra segna sulla carlinga del proprio caccia gli aerei nemici abbattuti. 
Il risultato era indimenticabile. Immaginatevi un manubrio di una bicicletta da cui pendevano tanti piccoli crocifissi, legati da fili di semi che componevano un mosaico di rosari impossibili da usare. Sopra il fanale, legato alla meglio con del fil di ferro, si ergeva una testa di Cristo che come una triste sirena di una prua di una nave destinata a solcare temibili mari, doveva affrontare i continui schizzi provocati dalle interminabili pozze sul selciato. Il porto che ospitava quella fantasiosa  bicicletta, era sempre il mio giardino.
Ogni passaggio della "nave" in paese, causava tumulti. Vittorione non perdeva occasione per inveire sui compaesani lanciando terribili maledizioni: 
"Tanto vi aspetto tutti là!"
Con quella voce roca e sinistra che Vittorione tirava fuori per emettere le sue sentenze provocando inevitabili reazioni scaramantiche e offese nei suoi confronti condite da bestemmie di tutti i generi. Incurante, Vittorione vomitava tutto il suo rancore e lo schifo che provava verso la perdita di dignità ed identità che, a dir suo, ormai avevano subiti tutti gli abitanti di quel paese. In particolare coltivava una certa antipatia nei confronti degli ex-contadini arricchiti e del parroco, emblema più alto dell'ambigua natura umana.

Quella volta al circolo, l'insistenza della gente nel convincere Remo ad allontanare Vittorione, si rese più forte. Niente valevano le motivazioni che mio padre forniva, dettate dalla necessità della situazione e che Vittorione, comunque, era un brav'uomo.
Le ragioni della gente mi parevano solo mosse da remore personali prive di qualsiasi vero motivo per cui Vittorione non sarebbe dovuto più entrare in quel luogo, considerato "inviolabile". Non comprendevo allora perché tutta la mia famiglia dovesse addirittura viverci. I dubbi che mi sorgevano, rendevano più interessante la figura di Vittorione e con curiosità mi accingevo a conoscere meglio quello strano personaggio da tutti considerato matto.

Tornati a casa, trovai mia madre intenta a stirare la biancheria. Il tavolo rialzato che Remo adoperava come piano lavorativo, tavolta era usato da bianca come asse da stiro. La poca luce che attraversava la piccola finestra, costringeva mia madre ad accendere la luce artificiale rappresentata da una buffa lampada a carrucola con la possibilità di variarle l'altezza secondo le esigenze. Alla fine della lampada era appeso una striscia di carta moschicida, strumento di tortura per ogni insetto volante. Il vapore di quel vecchio ferro da stiro, creava un'immagine dal sapore espressionista addosso a quella donna curva sulla biancheria. Troppo triste da osservare quel quadro, quindi uscii da mia nonna alle prese con alcuni mazzolini di fiori.

..interpretazione di Picasso..

L'esterno del mio piccolo "appartamento", era interamente senza intonaco. Nude pietre di forme diverse, costruivano l'intero edificio, se non fosse stato per la localizzazione particolare, la casa poteva essere un'anonima casa colonica di campagna.
Tale colonica era immediatamente posta a destra dell'entrata del "giardino". All'interno si accedeva salendo tre piccoli scalini di pietra, a lato vi era una pompa meccanica con acquaio funzionante da "vetrina" dei mazzolini di fiori. Di fronte, sul lato sinistro del cancello, sorgeva un'altra costruzione simile ma con uso leggermente diverso. Era la cosiddetta "stanza mortuaria". Definizione da me poco comprensibile, capivo la funzione; ospitava i nuovi arrivati in attesa di "sistemazione definitiva", ma visto che esternamente era indistinguibile dalla mia residenza natia, mi ostinavo a non chiamarla con quel tetro appellativo.
Cominciai ad aiutare mia nonna, mentre uscì allo scoperto Tobia, la tartaruga del giardino. Quel mio vasto giardino era popolato da molte razze di animali. Oltre ai polli nascosti, vi erano svariati esseri viventi: lucertole, topi, serpi, gatti e sporadicamente cani randagi in cerca d'asilo. Famiglie d'animali, contrapposte alla mia, vivevano in quello strano giardino e ad ogni entrata di visitatore, essi scomparivano senza lasciare traccia.


Tobia si era aggiunto improvvisamente agli altri abitanti, un giorno comparendo dal nulla in mezzo alle due tombe più vecchie. Aurelia, mia nonna, era convinta che Tobia fosse appartenuto alla signora residente nella tomba su cui si era trovato e che le facesse visita periodicamente come qualsiasi altro parente.
Sulla Signora in questione esisteva una leggenda.  Sempre a detta della nonna, la Signora era stata sepolta con un guanto in meno. Tale guanto, nero e lungo fino al gomito, calzato ancora dal braccio, vagava nei pressi delle cappelle del giardino nei giorni  di pieno sole, alla ricerca di Tobia. La leggenda era confermata dalle mie sorelle che giuravano di aver visto il braccio inguantato, salire le scale della cappella centrale in un caldo pomeriggio estivo.
Tutto ciò lo considerava fonte di ulteriore divertimento, una fiaba "noir" che per scenario aveva praticamente casa mia. Nessuno altro poteva ritenersi tanto fortunato da vivere in luogo da favola!
I personaggi fantastici erano i miei compagni di gioco, quel mondo non mi appariva carico di dolore come agli altri. Non avevo posto confini tra il corso della vita e la morte. Una lunga linea retta, nessun elemento di caos, nessun dolore.

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