perennemente in viaggio

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perennemente in viaggio ...sempre in classe economica...

mercoledì 28 dicembre 2011

Il cenone con "Tadzio"

Tra spread e bot, fervono i preparativi del cenone...


12° episodio de: “L'aiuto Becchino”
 Le conseguenze del “Carosello” del 2 novembre a casa mia erano sempre molto impegnative per tutti noi. Quella volta si aggiungeva la preparazione della cena dove veniva accolta ufficialmente Anna. Questo causò maggiore caos del solito e tutti si impegnarono al massimo per fare trovare ad Anna una accoglienza calorosa e soprattutto un'abitazione quasi normale.
Il nostro appartamento, una volta entrati nel “giardino”, non era molto distinguibile dalle cappelle del resto del cimitero, tranne per l'antenna televisiva che spuntava dalla copertura gotica della “casa”. L'antenna,  installata dal generoso Marco, dava una parvenza di normalità alla casa ma in evidente contrasto con il contesto generale. Per me era una sorta di vessillo che lottava con le croci innalzate sugli altri appartamenti del giardino.

Entrando in casa da uno stretto e breve corridoio, incontravamo subito ai lati due porte, rispettivamente per entrare nel “cesso” (in tutti i sensi) e nella zona cottura, locale dove era situata effettivamente la nostra cucina economica (e nient'altro). La zona giorno era costituito dal tavolo-laboratorio di mio padre, il pianoforte a muro di mia madre ed un grande mobile dispensa dove erano mischiati i viveri insieme agli accessori per le lapidi. Un grande tavolo rotondo era posizionato nel centro della stanza, con intorno sedie di varie fatture, sicuramente progettate tutte da  bizzarri designer con uno spiccato senso dell humor...
Quel giorno, il nostro tinello-salotto-studio-laboratorio  ebbe una trasformazione radicale e divenne una vera e propria sala da pranzo. Il cambiamento fu effettuato in breve tempo e semplicemente dal trasloco in massa di tutti gli oggetti che potessero ricordare l'appartenenza a quel luogo, direttamente nelle nostre camere da letto, stipate all'inverosimile da ogni tipo di oggetti d'arte funeraria varia.
Il piatto forte della cena era: “Tadzio” il mio amato coniglio bianco, destinato però ad abbellire il nostro vassoio di Richard Ginori (“ereditato” da una nostra recente condomina) con contorno di patate in umido.
Anna entrò in casa, precisamente mentre Gabriella gettò l'ultima croce di bronzo in camera e, dopo i convenevoli di rito, iniziammo a mangiare. In quella occasione avevamo invitato anche Enzino, che ci aveva aiutato in modo sostanzioso a quella pulizia di primavera anticipata.
L'atmosfera comunque si sciolse in breve tempo, Anna era una dolce ragazza e la situazione non la infastidiva più di tanto. L'amore suo per Andrea era sincero e sicuro, inoltre attendeva un figlio e la conversazione verteva sul futuro dei due giovani. Mia nonna Aurelia, taciturna per la maggior parte della cena, improvvisamente chiese alla givane coppia cosa avessero fatto in quei giorni di fuga. Anna e Andrea, colti alla sprovvista, guardarono entrambi Enzino, il quale, arrossendo, confessò che li aveva ospitati in casa propria per aiutarli e consigliarli di rivolgersi alla “Edda”.
Edda era una fantomatica divinatrice e maga non ben vista dal paese, tanto che era costretta a vivere ed esercitare la sua “professione” in una casa colonica in aperta campagna.



giovedì 22 dicembre 2011

Il Natale e il Carosello nel Cimitero

All'interno di un cimitero, il vero giorno di grande festa non era il Natale (a rischio di blasfemia) ma il primo e 2 novembre, quando avveniva la metamorfosi ludica del cimitero in un vero e proprio “Carosello vivente”.


11° episodio de: “L'aiuto Becchino”


Si stava avvicinando il primo novembre e di mio fratello ancora nessuna notizia. Quella ricorrenza era per il mio giardino l’unica occasione dell’anno per mettersi a lucido. Tante visite, cerimonie e baracconi da luna park. Si, nella strada che conduce al cimitero, per due giorni, erano parcheggiati banchi di ogni tipo: venditori di mele rosse caramellate, giocattoli, fiori, come nelle migliori fiere paesane. Insomma, lo strano sogno che feci qualche giorno prima,  forse era anticipatorio di quest’altra strana festa.


In questa occasione, tutti noi della famiglia eravamo impegnati per molti giorni prima dell'evento. Ognuno aveva un compito; le donne erano nel settore floricultore, prepare mazzolini di crisantemini e rinfrescare i crisantemi grandi in attesa di venderli. Gli uomini   dovevano preparare i migliori accessori per le lapidi per invogliare la loro decorazione. Enzino era incaricato di fare le pulizie di primavera alle varie cappelle private e tombe “a terra”. Vittorione in quei giorni non si faceva vedere, non amava il "carosello".
A me rimaneva il compito del “parco luci”, l'intera gamma di lumi, lumini, ceri e tutti i più moderni gadget illuminotecnici che potevano illuminare a festa i vari “appartamenti” del condominio; era di mia competenza. Infine, dovevo fare da assistente-chierichetto a Don Spartaco nella Santa Benedizione del cimitero (l'evento conclusivo della festa). Insomma in quei giorni un grande fremito di vita, invadeva la famiglia e animava tutta la nostra abitazione, un vero Carosello stava per iniziare e per questo che non capivo il motivo della sospensione della trasmissione del Carosello televisivo per il 2 novembre. Una sorta di bizzarro e ironico destino; mi vietava la visione serale del carosello in TV ma mi faceva protagonista di una  processione di colori, rumori e vitalità dal vivo direttamente in casa mia!


E l’ultima sera di festa, quando i banchi cominciarono a svuotare la strada e il giardino era pieno dell’odore di cera consumata degli innumerevoli lumini depositati sulle lapidi; arrivò in casa nostra Andrea con Anna. La felicità del ritorno di mio fratello fu grande quanto la sorpresa di sapere che Anna era leggermente “ingrassata”. Aspettavano un bambino, tutti  abbracciammo Andrea e per ultimo seguì l’esempio della famiglia anche Remo, il quale accolse Anna con un accenno di sorriso, probabilmente il massimo di approvazione che mio padre poteva  produrre. Mia nonna Aurelia, mentre Bianca singhiozzava, decise che il giorno dopo ci sarebbe stata una cena ufficiale per festeggiare “il lieto evento”.


martedì 20 dicembre 2011

Il surrealismo contro Gigi Marzullo

"Il surrealismo si fonda sull'idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme di associazione finora trascurate, sull'onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita" 
Così scriveva André Breton nel manifesto del surrealismo nel 1924.  
Ma i sogni fatti in un cimitero aiutano a vivere meglio la realtà o a capire meglio il surrealismo?

10° episodio de "L'aiuto Becchino"

Quella notte, andai a letto con mille pensieri. Mio fratello, Vittorione, Angela la mia compagna di classe. Mi addormentai ed entrai nella festa più strana a cui avessi mai partecipato.
Pedalo faticosamente, su una bicicletta di bronzo, girando per i vialetti del mio "giardino" di notte. le luci flebili delle lampade votive, e una musica in lontananza. Cerco di capire dove arriva quella musica e scorgo che una luce più forte delle altre proviene da un loculo senza lapide. Mi avvicino ed entro dentro il loculo, all’interno una grande festa con tutta la mia famiglia.

I vari personaggi del paese con Primo avanti a tutti e mia nonna al centro di una tavola enorme imbandita con ogni sorta di cibo e bevande. Mentre dei musici con costumi da scheletri, in stile fantocci messicani, suonano allegre arie da festa contadina. Nel centro della sala mio fratello ed Anna ballano spensierati sotto una decorazione di lampadine colorate. L’allegria incontenibile di quella sorta di festa rurale, mi coinvolse totalmente e riuscì a sentirmi sereno e più vicino ai miei familiari in particolar modo a mio padre, il quale era l’unico che non rideva e stava in disparte.


La mattina dopo, in classe, avevo in mente ancora quella incredibile festa. Angela tentava di attirare la mia attenzione e Suor Valeria chiese della poesia che avrei dovuto scrivere. Ma l’unica poesia che avevo in mente era la festa che vedevo negli occhi di Angela.


domenica 18 dicembre 2011

La mostarda di frutta e la manovra economica

Possiamo trovare analogie tra la mostarda di frutta e la manovra economica? Disparità di pareri, gusti diversi, conseguenze alternate e sapori contrastanti le uniscono? Sicuramente i contrasti forti ci sono anche nelle scelte d'amore...



9° episodio de "L'aiuto Becchino"

Remo era infuriato con mio fratello Andrea, per la balorda idea di convogliare a nozze con la figlia del macellaio. Inoltre, mio padre era ulteriormente deluso dell'atteggiamento di Vittorione e preoccupato per me.
Per questo marco ottenne un invito a cena, quella sera, con il compito di far ragionare Andrea sulla sua decisione. Marco accetto ben volentieri, ma non sapeva che lo attendeva il piatto forte di mio padre; polenta e mostarda di cavolo, di cui era l'unico estimatore.
Marco, dopo cena poté sfoggiare la sua bravura nel sintonizzare quella scatola che elargiva visioni dal mondo esterno.  Ma non ebbe altrettanto fortuna con Andrea che uscì di gran fretta.

Andrea, riuscì ad incontrare Primo al circolo, dove si recava ogni sera a fare una partitina con gli amici. L'entrata di Andrea, suscitò un brusio in tutto il locale, frequentato principalmente da anziani di brutta fattura. Andrea chiese al macellaio di potergli parlare. In risposta, senza degnarlo di uno sguardo, ebbe un freddo ed inappellabile rifiuto.
Andrea ebbe uno scoppio d'ira come solo l'amore può produrre e minacciando Primo di possibili gesti sconsiderati, uscì correndo tra i tavoli da gioco e il disappunto degli astanti.



    "Quel figliuolo si è rintronato per quella.."
Questo è quello che urlavano in famiglia di mio fratello. Andrea era scappato con Anna la notte precedente. Possibile impazzire d'amore? Non capivo, mio fratello pazzo? Perche?

Il giorno successivo fu  contrassegnato da un clima di apparente calma. Tutti in paese sapevano che la fuga dei due amanti sarebbe finita con un ritorno alla normalità ma tra noi c’era preoccupazione per le conseguenze. In attesa la vita nel mio giardino proseguiva normale. Mia madre con Aurelia erano intente a stendere i panni nei pressi del pollaio, io tentavo di aiutarle trasportando la cesta del bucato. Inavvertitamente urtai nel paletto che chiudeva il recinto del pollaio. Poco dopo trovammo i simpatici pennuti che correvano tra le lapidi del giardino. Bianca e Aurelia  cominciarono a gridare tentando di riportarli indietro e chiedevano l’aiuto di Remo, preoccupate per l’arrivo di eventuali visitatori.

Invece di Remo, spuntò fuori Vittorione che con un ghigno sul volto si buttò all’inseguimento dei polli.   Era una scena comica ed io mi divertivo correndo dietro a tutti ma il divertimento si interruppe quando Vittorione riuscì a prenderne uno, e davanti a me mise il manico di legno di una scopa sopra il collo ben allungato del pollo a terra e con i due piedi all’estremità del manico soffocò il pollo. Poi rivolto a me proferì:
Questo ve lo mangiate la prossima domenica. E non ti preoccupare; quando si pensa troppo alla morte è perché non si è sicuri della vita!”

giovedì 15 dicembre 2011

Campisanti e campi di sterminio

Questo personale "romanzo d'appendice" continua con un sapore leggermente agrodolce come...
8° episodio de "L'aiuto Becchino"
 
Il pomeriggio a casa si tenne il funerale della signora di mezz'età. Remo vietò a mio fratello Andrea di uscire e partecipare alla funzione, così fui io a sostituirlo. Andrea aveva confessato alla nonna l'intenzione di sposare Anna, e la nonna tentava di dissuaderlo.
Il corteo funebre arrivò al cancello del giardino seguito da molte persone, tra cui Marco, il tecnico TV. Marco era un lontano parente della signora ma non perdeva occasione per rivedere mia sorella. Era molto che non vedevo Marco e la sua visita mi fu assai gradita.
Nel frattempo il feretro aveva raggiunto la sua "residenza". Remo aiutato da Vittorione e per l'occasione anche da Enzino, calavano la cassa nella fossa, opportunamente preparata in anticipo. Nel ricoprire lo scavo subentrai anch'io che a fianco di Vittorione mi davo un gran da fare con la vanga. Remo si attardava con i parenti a parlare sommessamente. Alcuni gli stringevano la mano, altri, freschi della notizia di Andrea e Anna, si allontanavano visibilmente contrariati.
Marco stava parlando con Andrea, voleva confortarlo e rassicurarlo per il futuro, nel frattempo cercava continuamente lo sguardo di Graziella che veniva sostituita brillantemente dall'altra sorella.

Finito di riassettare il nuovo "appartamento", volevo aggiungere il nome della nuova arrivata: Laudomia, sul mio quadernetto-registro, ma fui assalito alle spalle da Vittorione. Vittorione era intenzionato a fare una vera e propria disquisizione sull'ipocrisia della gente. Rabbia ed ingenuità erano mischiate nelle sentenze che sputava da quella bocca composta ormai da pochi denti malfermi, cominciò a sentenziare come le lacrime dei parenti scomparissero velocemente una volta oltrepassato il cancello. M'invitava a non giudicare e a sorvolare sugli scherzi dei ragazzi ed a considerarmi fortunato di abitare in quello strano luogo.  Poi una pausa, le parole di Vittorione si fecero più quiete, gli occhi cominciarono a velarsi d'impercettibili lacrime e fece cenno ad una strana divisione del genere umano composto da fortunati e sfortunati.
Parlava a ruota libera senza che osassi interromperlo, attratto com'ero da quell'oscuro discorso che stava per fare.
In quella divisione, lui si poneva nel mezzo, si riteneva fortunato di essere uscito da un campo di sterminio ed allo stesso tempo sfortunato perché non vi era morto.
Aveva un passato tremendo, dopo la perdita di entrambi genitori, era stato catapultato in guerra dove, fatto prigioniero, fu deportato in Germania. La sua tenacia e la forte tempra riuscirono a farlo sopravvivere ma ad un prezzo altissimo, che lo condannava ad una esistenza piena di rimorsi ed angosce. Mi raccontava che accettò di "collaborare" in quel campo, per ottenere una migliore condizione di prigionia, doveva fare "l'infermiere", costretto a gettare nelle fiamme le povere carcasse dei suoi stessi compagni. Una volta liberato, sopravvissuto con pochi altri e tornato al paese, non trovò di meglio che continuare in qualche modo quello per cui si riteneva dannato. Doveva espiare la propria colpa, perché affermava:
" Nella morte non c'è dignità, ma questo luogo può essere il tuo vero maestro".


Gelato completamente da quel racconto, coglievo alcuni momenti di vera tristezza negli occhi di Vittorione, poi m'invitò a seguirlo nell'ossario comune del nostro giardino, perché dovevo approfittare ed apprendere tutto da quel luogo ed una volta acquisito tutte le possibili lezioni, lasciarlo al più presto.

"L'ossario Comune" era l'unico luogo del giardino che mio padre mi vietava di visitare.
Quel divieto non l'avevo mai capito, mi sembrava un'assurdità. Quindi seguii volentieri Vittorione.
Quella stanza segreta del condominio, era posta negli scantinati della cappella centrale e vi si accedeva attraverso una piccola porta in metallo, poco lontana dal nostro altrettanto segreto pollaio. Le chiavi della porticina le aveva solo Remo il quale era troppo preso dalla ennesima discussione con Andrea. Vittorione, aveva preso intanto oltre alle chiavi anche una torcia elettrica. Ero pronto e fremevo all’idea di scoprire il segreto di quella stanza. Davanti a noi solo la porticina di metallo che Vittorione aprì subito.

La prima cosa che vidi fu una serpe scivolare velocemente a lato della parete umida. Vittorione spostò la torcia e nella direzione della luce scorsi alcuni mucchietti d'ossa ben ordinate e suddivise per grandezza, ancora due passi e s'illuminò un muro, un vero e proprio muro intero costituito da teschi perfettamente allineati tra loro i quali formavano una sorta di intreccio geometrico che nessuna trama di tessuto per quanto perfetta fosse, poteva superare. Una visione tetra ed affascinate allo stesso momento.
Vittorione si voltò verso di me e con l'aria di chi avesse compiuto una prodezza e pieno di soddisfazione, mi chiese: "Capisci ora?"
Non feci in tempo a riflettere su quella domanda, che sopraggiunse Remo, rosso in volto e sbraitante contro Vittorione. Il divieto che avevo infranto, era una sorta d'ingenua tutela della mia psiche, che al momento era molto più turbata dal racconto di Vittorione che dalla vista di quell'"arabescante" muro.

giovedì 8 dicembre 2011

L'immagine in 3D e la Fede

 L'iconografia cattolica è, tra tutte le religioni, la più immensa e variegata. Un vecchio sistema di visione stereoscopica denominato; View Master, era in grande auge tra gli adolescenti degli anni 60'. Grazie ad alcuni dischetti pieni di diapositive stereo, questo bizzarro oggetto, permetteva la visione personale di una qualsiasi storia in 3D. Fiabe, Tarzan, Batman, le meraviglie dello spazio e di Disneyland, erano intrappolate in quel piccolo apparecchio simile ad un prolungamento degli occhiali da vista. Ovviamente non poteva mancare un compendio di catechismo con l'intera vita di Gesù. Negli stessi anni, un certo Carmelo Bene affermava che: "Dio ha una sola scusa: che non esiste". E' probabile che non avesse mai posseduto un View Master.

7° puntata de "L'aiuto Becchino"

Tobia stava rosicchiando lentamente una foglia d'insalata offerta da mia nonna, quando  vidi Angela entrare dal cancello  per farmi visita. Era quasi sera, subito la presi per mano e la portai nel mio giardino a “passeggio”. Ero felicissimo per quella visita imprevista, nessuno dei miei coetanei osava entrare nel cimitero di sera, quando la luce del sole lasciava il posto a quella di migliaia piccole luci di quell’ambiente. Alcuni lo facevano per provare il proprio coraggio sfidando l’oscurità di nascosto ma finiva sempre in uno scherzo di pessimo gusto. Angela aveva sconfitto la paura ed il divieto dei suoi genitori solo per vedere me. In quell’occasione ero orgoglioso del mio giardino che mi permetteva di esaltare la mia “diversità” agli occhi di lei.  Si era già fatto buio e noi procedevamo in quella perlustrazione. Angela  stringeva forte il mio braccio ed io fiero illustravo tutti i misteri del luogo.
La scena era perfetta perché non si concludesse lietamente. Infatti, il padre di Angela, scoperta la fuga della figlia, si precipitò verso il nostro giardino, costrinse Remo a cercarci e una volta trovati, agguantò Angela per un braccio sbraitandole contro le peggiori cose.  Tentavo di salvarla addossandomi tutte le colpe. Mio padre, su tutte le furie, era diviso dalla rabbia verso di me e quella verso il padre di Angela il quale inveiva su tutti e tutto compreso Remo. Mentre il resto della famiglia, rimasto fuori della porta, osservava ammutolito la scena.
Il giorno dopo a scuola, i miei compagni erano già a conoscenza di tutto.
Frequentavo una scuola in un convento di suore. La derisione nei miei confronti era quotidiana, ed il soprannome era ovviamente: "Becchino".  Quella mattina però ero indispettito dall'atteggiamento particolarmente derisorio dei miei compagni, che sghignazzavano mentre inscenavano una pantomima esauriente su quello che era successo la sera precedente.
La scuola che frequentavo era rinomata per il sistema pedagogico adottato. Tale sistema si esemplificava in tutta la sua efficacia educativa, con la dotazione di una lunga e flessibile canna da pesca con la quale ogni insegnante, redarguiva ogni alunno poco attento con una simpatica frustata in testa. Suor Valeria (la nostra insegnante) era considerata tra le migliori in quanto usava la "canna" solo poche decine di volte al giorno. Ma la più temuta suora della scuola era la Madre Superiora: Suor Clotilde, la direttrice. Suor Clotilde aveva una figura imponente, la veste nera che indossava la copriva interamente fino alla testa, lasciandole solo il volto scoperto. Nessuno poteva fronteggiare lo sguardo di Suor Clotilde a lungo. Gli occhi piccoli e neri da cui sembrava fuoriuscire le fiamme dell'inferno, la bocca con grandi labbra carnose e un naso simile a un pallone aerostatico sempre in volo. Ma ciò che la caratterizzava era una sorta di protuberanza "tuberica" che aveva sulla narice destra, questo rendeva il suo naso enorme e deforme tanto da farla apparire come se fosse stata disegnata da Hieronymus Bosch e nessuno osava guardarla. Ad ogni suo arrivo in classe, tutti scattavamo in piedi terrorizzati. Insomma "una caserma" modello dove formarsi e aprirsi al mondo che ci attendeva con  pieno spirito critico...

Suor Valeria alla fine della lezione, come ogni mattina ci assegnava i compiti per casa. Quella volta ci ordinò di comporre una poesia su un argomento a piacere. Al suono dell'ultima campanella, tutti insieme facemmo la solita preghiera di ringraziamento dopodiché tutti saltarono fuori dall'aula. Suor Valeria mi trattenne per la cartella chiedendomi di restare ancora qualche minuto. Quello che seguì, fu una specie di riassunto di catechismo con l'ausilio di diapositive raffiguranti il male attraverso le forme più abbiette del demonio in contrasto con vari volti tristi ma incredibilmente spaventosi del Cristo.
Prototipo di View Master quasi cinque secoli prima


Un grazioso tentativo per educarmi a comprendere meglio il bene ed il male. Ancora oggi riesco a ricordarmi perfettamente i terribili incubi che mi provocarono quella lezioncina supplementare, cosa che anni vissuti in un cimitero non erano riusciti a fare.

sabato 3 dicembre 2011

"Nel Paese dove nulla sembra aver senso."

Come ottenere senso e verità dalle opere di fantasia? 



6° puntata de "L'aiuto becchino

Sulla strada di ritorno, sorgeva il circolo più frequentato del paese dove Remo sporadicamente si soffermava per un bicchierino di buon vino. Gli avventori, in maggioranza anziani, erano abili nell'instaurare qualsiasi conversazione sugli argomenti più disparati, purché si concludesse con una salutare alzata di bicchieri. Dopo il brindisi finale, tra una partita a carte e l'altra, la fatidica richiesta a Remo: 
"Fai in modo di allontanare Vittorione dal cimitero!" 
Vittorione per giungere al mio giardino, attraversava tutto il paese in sella alla sua bicicletta da donna. Questo sgangherato mezzo di locomozione, Vittorione lo aveva personalizzato decorandolo con arrugginite corone di rosari e crocifissi, "strappati" ai defunti esumati. Quel decoro costituiva una sorta di pro-memoria dei servizi svolti al cimitero, come un pilota in guerra segna sulla carlinga del proprio caccia gli aerei nemici abbattuti. 
Il risultato era indimenticabile. Immaginatevi un manubrio di una bicicletta da cui pendevano tanti piccoli crocifissi, legati da fili di semi che componevano un mosaico di rosari impossibili da usare. Sopra il fanale, legato alla meglio con del fil di ferro, si ergeva una testa di Cristo che come una triste sirena di una prua di una nave destinata a solcare temibili mari, doveva affrontare i continui schizzi provocati dalle interminabili pozze sul selciato. Il porto che ospitava quella fantasiosa  bicicletta, era sempre il mio giardino.
Ogni passaggio della "nave" in paese, causava tumulti. Vittorione non perdeva occasione per inveire sui compaesani lanciando terribili maledizioni: 
"Tanto vi aspetto tutti là!"
Con quella voce roca e sinistra che Vittorione tirava fuori per emettere le sue sentenze provocando inevitabili reazioni scaramantiche e offese nei suoi confronti condite da bestemmie di tutti i generi. Incurante, Vittorione vomitava tutto il suo rancore e lo schifo che provava verso la perdita di dignità ed identità che, a dir suo, ormai avevano subiti tutti gli abitanti di quel paese. In particolare coltivava una certa antipatia nei confronti degli ex-contadini arricchiti e del parroco, emblema più alto dell'ambigua natura umana.

Quella volta al circolo, l'insistenza della gente nel convincere Remo ad allontanare Vittorione, si rese più forte. Niente valevano le motivazioni che mio padre forniva, dettate dalla necessità della situazione e che Vittorione, comunque, era un brav'uomo.
Le ragioni della gente mi parevano solo mosse da remore personali prive di qualsiasi vero motivo per cui Vittorione non sarebbe dovuto più entrare in quel luogo, considerato "inviolabile". Non comprendevo allora perché tutta la mia famiglia dovesse addirittura viverci. I dubbi che mi sorgevano, rendevano più interessante la figura di Vittorione e con curiosità mi accingevo a conoscere meglio quello strano personaggio da tutti considerato matto.

Tornati a casa, trovai mia madre intenta a stirare la biancheria. Il tavolo rialzato che Remo adoperava come piano lavorativo, tavolta era usato da bianca come asse da stiro. La poca luce che attraversava la piccola finestra, costringeva mia madre ad accendere la luce artificiale rappresentata da una buffa lampada a carrucola con la possibilità di variarle l'altezza secondo le esigenze. Alla fine della lampada era appeso una striscia di carta moschicida, strumento di tortura per ogni insetto volante. Il vapore di quel vecchio ferro da stiro, creava un'immagine dal sapore espressionista addosso a quella donna curva sulla biancheria. Troppo triste da osservare quel quadro, quindi uscii da mia nonna alle prese con alcuni mazzolini di fiori.

..interpretazione di Picasso..

L'esterno del mio piccolo "appartamento", era interamente senza intonaco. Nude pietre di forme diverse, costruivano l'intero edificio, se non fosse stato per la localizzazione particolare, la casa poteva essere un'anonima casa colonica di campagna.
Tale colonica era immediatamente posta a destra dell'entrata del "giardino". All'interno si accedeva salendo tre piccoli scalini di pietra, a lato vi era una pompa meccanica con acquaio funzionante da "vetrina" dei mazzolini di fiori. Di fronte, sul lato sinistro del cancello, sorgeva un'altra costruzione simile ma con uso leggermente diverso. Era la cosiddetta "stanza mortuaria". Definizione da me poco comprensibile, capivo la funzione; ospitava i nuovi arrivati in attesa di "sistemazione definitiva", ma visto che esternamente era indistinguibile dalla mia residenza natia, mi ostinavo a non chiamarla con quel tetro appellativo.
Cominciai ad aiutare mia nonna, mentre uscì allo scoperto Tobia, la tartaruga del giardino. Quel mio vasto giardino era popolato da molte razze di animali. Oltre ai polli nascosti, vi erano svariati esseri viventi: lucertole, topi, serpi, gatti e sporadicamente cani randagi in cerca d'asilo. Famiglie d'animali, contrapposte alla mia, vivevano in quello strano giardino e ad ogni entrata di visitatore, essi scomparivano senza lasciare traccia.


Tobia si era aggiunto improvvisamente agli altri abitanti, un giorno comparendo dal nulla in mezzo alle due tombe più vecchie. Aurelia, mia nonna, era convinta che Tobia fosse appartenuto alla signora residente nella tomba su cui si era trovato e che le facesse visita periodicamente come qualsiasi altro parente.
Sulla Signora in questione esisteva una leggenda.  Sempre a detta della nonna, la Signora era stata sepolta con un guanto in meno. Tale guanto, nero e lungo fino al gomito, calzato ancora dal braccio, vagava nei pressi delle cappelle del giardino nei giorni  di pieno sole, alla ricerca di Tobia. La leggenda era confermata dalle mie sorelle che giuravano di aver visto il braccio inguantato, salire le scale della cappella centrale in un caldo pomeriggio estivo.
Tutto ciò lo considerava fonte di ulteriore divertimento, una fiaba "noir" che per scenario aveva praticamente casa mia. Nessuno altro poteva ritenersi tanto fortunato da vivere in luogo da favola!
I personaggi fantastici erano i miei compagni di gioco, quel mondo non mi appariva carico di dolore come agli altri. Non avevo posto confini tra il corso della vita e la morte. Una lunga linea retta, nessun elemento di caos, nessun dolore.

mercoledì 30 novembre 2011

La macelleria e lo "strappacuori"

"Solo due cose contano nella vita: l'amore in tutte le sue forme con ragazze carine e la musica...
Questa affermazione di Boris Vian,  risulta veritiera in ogni tempo ed in ogni luogo, anche in quelli più impensabili, come in un cimitero e in una macelleria...


5° puntata de "L'aiuto Becchino"

Avevo una speranza bellissima per il mio futuro che si materializzava in Angela. Lei era la mia compagna di classe a cui svelavo i miei segreti più intimi e lei, derisa dalle sue amiche perché osava frequentarmi, corrispondeva l’interesse. Ovviamente la nostra amicizia era ostacolata, non solo dal tipo di abitazioni diverse ma  anche dalla distanza. Quella striscia d'asfalto che separava il mio "condominio" dalla "vita reale", era invalicabile.  Per questo, ogni qualvolta che Remo si recava in paese, io mi univo a lui nella speranza di intravedere durante il "viaggio", il mio amato angelo.

La macelleria di Primo, il padre dell'amata di mio fratello, era un grande e vecchio fondo ricavato da un'ex-stalla. Una volta a botte altissima costituiva il solaio che pareva un cielo da cui piovevano lateralmente pezzi di carni di ogni genere di animale. Il banco altissimo poneva ad altezza degli occhi dei clienti altri pezzi di carne. Le pecore ed i manzi erano i frequentatori più assidui di quel banco. Sopra troneggiava lui, nella propria regale veste bianca spruzzata ancora di fresco da alcune macchie sanguinolente. In mano lo scettro a forma di mannaia, accanto al Re non mancava la sua degna consorte, Regina Cosetta, la quale, se possibile, aveva ancor di più un aspetto austero. Entrambi, osservavano gli incauti avventori dall'alto in basso, incutendo una terribile soggezione che obbligava all'acquisto consigliato dalla regale coppia.
Erano rare le nostre visite in macelleria. Il pollaio "condominiale" ci riforniva sufficienti scorte di carne per i giorni festivi, ma quel giorno mio padre volle fermarsi, con la scusa di qualche braciolina, pensava di instaurare un rapporto amichevole con l'eventuale futuro co-suocero.
Entrai in quel maniero zeppo di carni, stringendo la mano a mio padre. Un timido saluto di Remo ruppe la tensione e in risposta, Cosetta cominciò a tagliare con foga pezzi di manzo sul banco. Dopo l'acquisto di due esili tovaglioli di carne, Remo accennò alla situazione dei rispettivi figli. La coppia sopra il banco ascoltò con attenzione il ragionamento di mio padre, annuivano ripetutamente, intervenendo nei momenti salienti. Alla fine si scoprirono di essere d'accordo sul tentativo di dissuadere i due innamorati a causa della loro giovane età e per il loro bene. Trovai solo che le motivazioni dei due genitori erano leggermente diverse, soprattutto nel punto in cui si chiedevano dove avrebbero potuto vivere, certamente non nella nostra isola. Inoltre, Primo, sottolineava come Andrea, nonostante la buona posizione professionale (un lavoro così "non muore mai") fosse sempre circondato da personaggi poco raccomandabili, come Vittorione, poco "convenzionali".
Uscimmo con due o tre etti di carne e con tanta amarezza. Capivo che Remo avrebbe voluto stimolare Andrea a coltivare quella relazione anche solo per dispetto nei confronti di quella coppia così poco regale ma alla fine riteneva impossibile quella relazione anche per lui.


Prima di tornare a casa, mio padre doveva espletare il dovere settimanale che aveva nei confronti dell'ispettore cimiteriale. Il giardino, ovviamente non era di proprietà della mia famiglia, bensì della Arciconfraternita Misericordia, istituzione benemerita di antichissima memoria. La sede di tale istituzione era attigua alla chiesa principale del paese. L'ispettore cui Remo doveva consegnare il registro dei nuovi arrivi, era lo stesso parroco; Don Spartaco, il quale dopo avere avuto cura delle povere anime su quest'intricata sede terrestre, continuava a seguirle ed amministrarle anche nella sede celeste. Questo doppio ruolo non gli impediva di concedersi qualche pausa riflessiva con lo stimato vino da funzione.
Velocemente Don Spartaco eseguiva il controllo amministrativo che mio padre redigeva con cura calligrafica. Era quel tipo d'attenzione particolare che gli uomini abituati a lavorare con la terra, ponevano per gli atti scritti. Una pagina del registro, costava a Remo più sudore dello scavo di tre fosse. E quella cura meticolosa nel riempire correttamente le caselle dove indicavano il nome, la professione, l'ex-residenza e la data di "partenza" dei nuovi "arrivati", tradivano il passato contadino di mio padre. D'altronde Remo cambiò solo in parte il mestiere, solo che adesso scavava la terra senza sperare che vi potesse crescere qualcosa. I semi che vi gettava, con una sorta di appassionato distacco, non concedevano alcuna speranza di fioritura e tanto meno producevano l'impressione che la vita avesse un suo corso logico.
L'appuntamento con l'ispettore era sempre rapido. Don Spartaco sfogliava velocemente l'enorme registro, s'informava sullo stato dell'altare della cappella centrale, orgoglio di tutto il giardino e l'incontro si concludeva sempre con l'abituale richiesta di Remo sull'inizio dei lavori della nuova abitazione del custode, alla quale Don Spartaco rispondeva con la solita solenne alzata di spalle carica di speranza per il futuro.




lunedì 28 novembre 2011

Il decoder digitale contro Bergman

La dittatura del monopolio televisivo di quarantacinque anni fa mi impose la visione serale del "Il posto delle fragole" di Ingmar Bergman.  La sequenza iniziale del sogno del protagonista, provocò un leggero disorientamento pre-adolescenziale. Vedere uno dei miei primi film in un locale arredato principalmente da accessori funebri misti alla dispensa della cucina, all'interno di un cimitero; aggiunse ulteriore confusione a quel "habitat di crescita e  formazione" molto personale.

I sogni nel cimitero....
4° puntata de "L'aiuto Becchino"

Mia madre si era gettata alle spalle i sogni di una vita ricca di piccole gioie ed emozioni legate alle sue aspirazioni di cantante. Incallita amante dell'opera lirica, Bianca, navigava ormai con un sentimento di serena rassegnazione nella vita che si trovava a condurre. Nei ritagli di tempo rubati dai fornelli e la vendita degli accessori per le "porte dei mini appartamenti condominiali" (lumini, mazzolini di fiori, lampade votive, etc.), si dilettava a suonare il piano a muro posizionato nella stanza principale, semi nascosto dai mucchietti di lettere in bronzo e pezzi di marmo avanzati da qualche lavoretto di mio padre. 
    
Il volto di Bianca era luminoso e florido. Una donna di mezz'età leggermente obesa ma con una dolce allegria interiore che la rendeva ancora piacevole, confermato dal ronzio che produceva intorno a lei, Enzino.
Enzino era uno scapolo del paese che si arrangiava con lavori su commissione dati dai  parenti dei defunti. Provvedeva al cambio dei fiori, la pulizia delle lapidi, i lumini e così riusciva a strappare una modesta rendita mensile che gli permetteva di sopravvivere in una modesta casetta in paese. 

Questa sua attività, lo portava a frequentare quotidianamente il nostro giardino e in famiglia s'insinuava che i suoi modi gentili e timidi, segnati da un grosso imbarazzo nei confronti di Bianca, fossero i sintomi del suo velato corteggiamento a mia madre.
Remo non si preoccupava più di tanto, poiché aveva il sospetto che Enzino fosse una "donnacchera". Questa era la voce ricorrente che circolava in paese. In realtà Enzino, aveva un aspetto dimesso e triste, la sua esile figura ricurva tradiva il suo stato di profonda solitudine e infelicità. Sbrigare questi lavoretti gli dava la possibilità di allontanarsi dalle malelingue paesane e godere di una compagnia meno ostile.
Enzino visto da Otto Dix

  Enzino arrivava in cimitero con la sua bicicletta che appoggiava al muro della mia abitazione e nonostante tutte le maldicenze, da tutti noi era benvoluto e rispettato. L'unica persona che lo derideva con battutine velenose, era Vittorione e tra i due aleggiava un sottile filo d'odio.
Queste erano i personaggi con cui condividevo la maggioranza delle mie giornate e con i quali ho iniziato il mio viaggio. Ne manca ancora uno, fondamentale per il proseguo del racconto di queste memorie...

mercoledì 23 novembre 2011

Emozioni in un mercato e il nulla...

Proseguo sul sentiero intrapreso su questo spazio virtuale e ridefinisco il mio rapporto emotivo con il mondo attraverso una visita al mercato settimanale e la considerazione che mi viene in mente è sempre e comunque una frase Heideggeriana:
"Nel momento della noia profonda, nel momento della massima irrilevanza delle cose, nel momento in cui si affaccia il nulla, l’esserci ha la possibilità di interrogarsi sul suo rapporto con il mondo, sul suo essere-nel-mondo. «La noia profonda rivela l’ente nella sua totalità», ossia nel suo rapporto con il nulla."

Il nulla è abbinato alla morte? Forse la memoria della vita cimiteriale....
3° puntata dell'Aiuto Becchino:


I primi dubbi sulle mie convinzioni, nacquero quando la situazione sentimentale di mio fratello si complicò.
Andrea aveva tutti i privilegi del primogenito. Per diritto acquisito, era lui, ad esempio ad avere il compito di sigillare le bare di zinco con la fiamma ossidrica, aiutare mio padre a sotterrare e addirittura ad incidere sulle lapidi. Tutto ciò suscitava in me una piccola invidia nei suoi confronti amplificata dal fatto che adempieva a queste mansioni con latente sofferenza.
Una sera, dopo la cena consumata tra le consuete "nuvole di marmo", Remo discuteva animatamente con mio fratello. Il raro caso di litigio tra i due proseguì all'esterno dell'abitazione nei pressi del cancello. Affacciato da una delle finestre esistenti, seguivo con lo sguardo, l'allontanarsi di Andrea sulla propria moto Guzzi in direzione del paese.
Il paese era collegato a noi tramite un lungo viale asfaltato, come un ponte collega  un'isola con la terra ferma. La fioca luce rossa posteriore della moto pareva duellare con quelle dei lumini accesi all'interno del cimitero. La discussione verteva sulla convenienza della nuova relazione sorta tra Andrea e Lucia, la figlia del macellaio.


La famiglia di Lucia era benestante. Il lavoro del padre procurava una vita agiata e la poneva tra le famiglie più rispettabili del paese. Il padre di Lucia non vedeva bene questo amore sbocciato tra sua figlia e il figlio del becchino. Il becchino era una persona discreta e rispettata da tutti ma certamente non poteva essere considerato un mestiere invidiabile. 
Tutti in paese ritenevano il lavoro di Remo "un lavoro che non muore mai", ma nessuno avrebbe avuto il coraggio o meglio l'impudenza di avere a che fare con lui se non per "casi estremi e definitivi"


Le donne della famiglia, in prima fila, la nonna Aurelia, accudivano oltre la casa, anche un piccolo pollaio sistemato dietro la cappella centrale neo-gotica, poco distante dal deposito delle bare, maldestramente recintato da una rete metallica. La nonna ottantenne vedova del primo custode del "condominio", aveva il ruolo di coordinatrice domestica: elargiva consigli alla figlia Bianca (mia madre) sulla gestione amministrativa della famiglia ed al genero su come condurre il lavoro di becchino. La nonna fungeva anche da precettore per le mie due sorelle, nel pieno dell'effervescenza giovanile per niente annacquata dal luogo di residenza, anzi il loro mangiadischi era un generoso produttore di colonne sonore per ogni evento.
Le due sorelle, una bionda e l'altra bruna, erano discretamente corteggiate dagli esemplari di maschi rurali del paese, i quali non nascondevano la loro curiosità morbosa per quelle strane fanciulle. Uno di questi ragazzotti si distingueva tra gli altri, non solo per il lavoro che svolgeva, era istallatore dei nuovi apparecchi televisivi, ma soprattutto per il grado di educazione e cultura che possedeva. Aveva conosciuto le mie sorelle nel locale del paese adibito a discoteca, in pratica un magazzino nel retro del bar centrale, ed immediatamente si era invaghito di Graziella (la bionda), la quale si disinteressava completamente delle sue attenzioni, mentre era la bruna Gabriella che segretamente ricambiava l'interesse del giovane tecnico di nome Marco.

Marco fu il primo estraneo a sorpassare la soglia di casa. Con la scusa di propagandare il nuovo elettrodomestico, riuscì ad approdare sull’isola, senza avere motivi luttuosi. L'intento di Marco non era solo commerciale, tentava di vendere quella strana scatola magica insieme al suo cuore, offerto in omaggio a Graziella, la quale rifiutava sistematicamente quell'ingenua ma sincera "merce". Mia madre era più corruttibile, e convinse Remo ad acquistare la scatola magica, ottenendo il disappunto di Graziella e la felicità di Gabriella, poiché l'acquisto implicava una periodica assistenza da parte di Marco. In quelle ripetute "visite tecniche"  di Marco a casa mia, si sviluppò un rapporto di amicizia tra noi. "Quello della televisione", così Marco era riconosciuto dalla famiglia, divenne il mio primo vero amico.
In quel periodo non avevo amici al di fuori della scuola, i miei compagni non     frequentavano certi "giardini", per cui il sottoscritto era un sereno ragazzo solitario, al quale non pesava modificare giochi che solitamente erano effettuati in gruppo, come guardie e ladri, nascondino etc. I miei abituali compagni di gioco erano i residenti del mio "giardino d'infanzia".
Marco ruppe la routine domestica. Con me parlava dei suoi sogni, delle sue strane idee sulle speranze che poneva sul mondo intero, e di quel mondo ci aveva gettato l'immagine nella nostra isola. La nonna era più scettica di fronte ai discorsi del giovane tecnico, ogni volta che accendevamo "lo scatolone", lei lo osservava dal dietro, perché diceva che:
"Se Marco ci vede  il mondo,  io voglio vedergli il culo per capirlo meglio"...
..buco da dove vedere..


Tarzan a colori e 3D (1965)

sabato 19 novembre 2011

Coni di Cera, Governi Tecnici e Fuochi Fatui.



Avete mai usato quei coni di cera per stappare i vostri padiglioni auricolari dal cerume depositato da anni di incuria e mestizia igienica? Ebbene per usarli dovete poggiare la vostra testa su un tavolo e con un cono ben piantato in un orecchio dargli fuoco e attendere alcuni minuti in questa posizione, che l'aria calda penetrata nelle vostre cavità, faccia emergere gli scarti della vostra materia cerebrale (o qualcosa del genere). In quei minuti (nei quali la vostra testa assomiglia molto ad un'orribile torta di compleanno), ho visto l'analogia con il governo tecnico; anche questo è un rimedio estremo che dopo ripulito e assestato tutto il sistema, esso svanisce nell'aria come una torre d'avorio grigioazzurastra di fumo...?


Comunque le mie trombe di eustachio non suonano più come una volta e sono ancora intasate, nonostante i "fuochi fatui" del rimedio eseguito.



2° puntata....

Quella strana casa mi aveva accolto proprio mentre venivo al mondo e quella era la mia area di appartenenza, vivevo all'interno di un "grande condominio", isolato dal resto della comunità e malgrado l’amore dei miei cari, man mano che crescevo quel luogo smetteva di apparirmi un isola in cui rifugiarsi ed esaltarsi del proprio coraggio, anzi mi rendevo conto che gradualmente il cimitero diventava un ostacolo enorme nel farmi accettare dai miei coetanei i quali ai loro occhi ero sempre e solo il “figlio del becchino”. L’unica persona che poteva capire e condividere i miei disagi, perché deriso anch’egli dai paesani, era Vittorione, l’aiutante volontario di mio padre.

Vittorione era uno strano tipo di matto del paese, un ex-pugile con alle spalle una vita piena di sofferenze dovute alla guerra. Aveva uno strato impressionante di callo sopra le nocche delle mani, perché la passione della boxe non l'aveva abbandonato ed era sua abitudine allenarsi, dando innumerevoli cazzotti a mani nude sul muro di cinta del cimitero. Non era un tipo particolarmente simpatico ed io cercavo sempre di evitare di rimanere solo con lui. Vittorione era considerato dai paesani un tipo cinico e volgare e lui non mancava occasione per confermare questa impressione anche nei momenti meno indicati.

Vittorione visto da Otto Dix...
Giravo spesso in bicicletta attraverso gli stretti viali del cimitero, un giorno mentre pedalavo per i fatti miei, Remo mi chiese di aiutarlo in una esumazione. Il tipo di lavoro in questione diventava delicato quando si raggiungevano i resti della cassa di legno. Era opportuno porre molta attenzione nell'estrarre i resti del defunto, lasciare vanga e zappa e procedere con un piccolo arnese da scavo.

Ero completamente a disagio, i parenti del defunto mi osservavano attenti e preoccupati, così cedetti all'ansia di estrarre velocemente il teschio e coordinando male la forza impressa sull'arnese, causai una spaccatura nel centro del cranio ancora seminterrato. Ciò produsse una fragorosa risata di Vittorione tra il disappunto generale dei parenti-spettatori, che inveirono su mio padre, colpevole di sfruttare un ragazzo per simili lavori. Vittorione cercò di rassicurarmi ma l’imbarazzo era troppo grande e fuggì a casa. Avevo una piccola mania letteraria. Registravo su un quadernetto brevi frasi tratte dalle epigrafi, le più bizzarre come: " strappato all'attenzione della famiglia", "vittima innocente di una crudele macchina", "la vita è bella", e i nomi più strani dei nuovi arrivati. Così annotai, dopo l'incidente anche il nome del "tesoro" che non riuscì ad estrarre: "Cremo", cerchiandolo con una matita rossa affiancato da una crocetta, ritenendomi quasi colpevole di una sua seconda morte.




giovedì 17 novembre 2011

"Bisogna sempre andare avanti molto lentamente."

 Il quattordici novembre duemilaundici, sul far del giorno, un omuncolo senza qualità, decise di tornare a distendersi sul letto, per fare il punto della propria situazione storica e considerare il dar farsi.
La situazione la trovò poco chiara.  Il Premier Berlusconi si era dimesso da non molto e nonostante ciò all'orizzonte si disegnavano sagome sfatte di impoverimento culturale generalizzato.
L'omuncolo sospirò pur senza interrompere l'attento esame di quei fenomeni consunti e con le forze rimastagli tirò su il tronco per sedersi ai margini del letto e fu in quel momento che prese la decisione di scrivere qui, pensando di esorcizzare qualcosa, qualsiasi cosa sopratutto la speranza di stappare la propria narice destra che l'opprimeva da giorni.
Insomma per dirla alla Queneau:
senza indugio individua il sentiero adeguato e vi marcia di buon passo. Ed ecco che si accorge di aver preso un sentiero heideggeriano.
Applicando una teoria probabilistica, s’inoltro in un’altra direzione aleatoria quanto arbitraia, continuando a errare così fino al crepuscolo




Ebbene, ho deciso che periodicamente pubblicherò stralci della mia memoria "cimiteriale", abbinata alla contemporaneità (non so cosa significhi ma forse affascina altri che hanno intrapreso un sentiero Heideggeriano come me).
Quindi iniziamo.....

 Nevica su un paesino anonimo della Toscana in un imprecisato periodo del secolo. La luce del giorno si sta affievolendo producendo delle lunghe ombre sui muri delle case. Padre e figlio siedono accanto, compiti all'interno di una grande automobile. Il padre porta un berretto nero da autista, il ragazzo, di circa undici anni, pettinato con cura, sul suo volto traspare un'aria orgogliosa dovuta dalla sua "posizione". Il padre si rivolge al ragazzo dicendogli:
-Ricordati che bisogna sempre andare avanti molto lentamente.
Il ragazzo non risponde, è molto concentrato nell'imitare i gesti e le manovre del padre.
L'automobile si cui i due viaggiano è un vecchio carro funebre nero, seguito da un corteo di persone anch'esse nere. L'atmosfera risulta particolare, un grosso serpente nero che percorre in silenzio la bianca strada del paese.

Questo è il ricordo del mio primo funerale, cui partecipavo direttamente in modo ufficiale. Ero teso e fiero. All'interno di quel carro, potevo osservare i miei coetanei con una certa aria di superiorità. Eseguivo un lavoro importante: "l'aiuto-becchino". Mio padre, infatti, era il custode del cimitero del paese.

    Io e la mia famiglia vivevamo in una casa all'interno del cimitero. Non era precisamente una di quelle case da rimanere entusiasmi, visto che originariamente erano previsti i locali dove eseguire le autopsie. Comunque mio padre la spacciava a tutti noi come "un piccolo accogliente appartamento in un grande condominio" e vi lascio immaginare chi fossero stati gli altri condomini.
Mio padre, di nome Remo, era un tipo taciturno e pacato, abituato tutto il giorno ad avere poche conversazioni con i "clienti", continuava così anche in famiglia. Il suo lavoro diurno aveva un'appendice serale anche in casa.
Il tinello della casa, aveva una duplice funzione, quella consueta di sala da pranzo ed una più stravagante di laboratorio, dove Remo operava sulle lapidi di marmo attaccandoci sopra le lettere, cornici per le foto in ceramica e piccoli crocifissi di bronzo o di semplice alluminio per "clienti" meno facoltosi. I delicati piatti preparati dalla nonna con l'aiuto della mamma, si trasformavano in una sorta di "polenta esoterica", composta non solo da farina vegetale ma soprattutto da "nuvole bianche di marmo", condite da un aroma speciale di mastice.
C'erano solo due camere da letto, perciò erano sfruttate al massimo. Nella prima ci dormivamo io e miei genitori. Il mio piccolo letto era posto in un angolo della stanza attiguo alla porta che conduceva nella seconda camera. In questa "riposavano": la nonna  Aurelia, le mie due sorelle, Gabriella e Graziella, infine mio fratello maggiore Andrea.

Tutto sommato il clima era dolce ed accogliente. Quella strana casa mi aveva accolto proprio mentre venivo al mondo e quella era la mia area di appartenenza, vivevo all'interno di un "grande condominio", isolato dal resto della comunità ma era per me un luogo fantastico, un isola in cui rifugiarsi per trovare situazioni eroiche, esaltarsi del proprio coraggio e dichiarare la propria libertà e diversità dai miei coetanei.