perennemente in viaggio

perennemente in viaggio
perennemente in viaggio ...sempre in classe economica...

mercoledì 19 dicembre 2012

AUGURI!




Morirò di cancro alla colonna vertebrale
Accadrà una sera orribile
Chiara, calda, profumata, sensuale,
Morirò della putrefazione
Di certe cellule poco conosciute
Morirò per una gamba amputata
da un topo gigante sbucato da una fogna gigante
Morirò di cento tagli
Il cielo mi sarà caduto addosso
Fracassandomi come una vetrata pesante
Morirò di fragore di voci
Che farà scoppiare le mie orecchie
Morirò di ferite segrete
Inflitte alle due del mattino
Da assassini vaghi e calvi
Morirò senza accorgermi
Di morire, morirò
Sepolto sotto le rovine secche
Di mille metri di cotone sprofondato
Morirò annegato nell'olio di spurgo
Calpestato da bestie indifferenti
Morirò nudo, o vestito di tela rossa
O cucito in un sacco con delle lame di rasoio
Morirò forse senza preoccuparmi
Di verniciare le unghie delle dita dei piedi
E di lacrime piene le mani
E di lacrime piene le mani
Morirò quando sclleranno
Le mie palpebre sotto il sole arrabbiato
Quando mi diranno lentamente 
Delle cattiverie all'orecchio
Morirò nel vedere torturare bambini
E uomini sbigottiti e lividi
Morirò mangiato vivo
Dai vermi, morirò
Con le mani attaccate sotto una cascata
Morirò bruciato in un incendio triste
Morirò un poco, molto,
Senza passione, ma con interesse
E poi quando tutto sarà finito
Morirò.

(Boris Vian)


BUON ANNO NUOVO!

giovedì 8 novembre 2012

Le Primarie Mortuarie n.2: "il Veggio"



Solitamente dopo la cena intrisa di polvere di marmo al sapore di crocette di bronzo e lettere in alluminio, Aurelia preparava il ”veggio” per scaldare il letto prima di coricarsi. Il veggio era una sorta di contentitore di coccio pieno di brace che veniva appeso ad una cupola formata da intrecci di stecche di legno con un gancio di ferro posto centralmente al culmine della volta. Tutto l'arcano la nonna lo inseriva sotto le coperte e questo diventava il prototipo di coperta elettrica trasformando il letto in qualcosa di simile ad un sarcofago rigonfio ….

Quella sera Andrea sbottò dopo la solita operazione di Aurelia:
“Ecco è proprio questo che intendevo! Non solo la bara va sostituita ma dobbiamo modernizzare anche la nostra abitazione come si permettono di farci vivere in queste condizioni? Prima o poi la nonna trasformerà la casa nel forno crematorio che Vittorione vuole!”
Infatti il giorno stesso Vittorione proseguì con il proprio programma elettorale.
Spiegando a tutti quanto fosse assurdo che anche dopo morto che un cittadino dovesse essere ancora parte integrante del sistema consumistico di questa società. Per anni continua ad essere costretto a pagare: bollette della luce (lampada votive corrente alla società che gestiva (silve) la manuntezione della lapide, i costo dei fiori freschi la rata del loculo o tomba che sia e così in eterno questa è la vera immortalità che ci aspetta, non finire mai di consumare e pagare!
In totale anti tesi Enzino che ribadiva quanto fosse importante il rito della memoria dei famigliari etc. etc.

Fu un periodo impegnativo per tutti, e il “seggio” sostituì il “veggio” per l'intera campagna elettorale.

venerdì 26 ottobre 2012

Le primarie mortuarie


Andrea, prima che la sua mente fosse impregnata di "Anna", dedicava molto tempo alle politiche inerenti la gestione del nostro giardino. Si convisse che solo diventando un socio della benemerita Arcincofraternita, potesse avere senso per il cambiamento che aveva intenzione di porre nel cimitero.
Gettare gli strumenti ormai obsoleti e controproducenti per lo svolgimento dell'attività, come la bara traballante, le vecchie vanghe, i corbelli per i rifiuti e sostituire con mezzi più moderni ed idonei. Insomma un programma chiaro e preciso, ma Remo, forse per codardia rispetto al Preposto, lo ostacolava in tutti i modi.
Chi lo prendeva sul serio invece erano Vittorione ed Enzino e non solo. Spinti dall'entusiamo del giovane Andrea, decisero che anche loro potevano avere delle idee da portare in consiglio dei soci della benemerita, anche migliori di quelle di Andrea. Ebbene iniziò la disputa per chi dovesse candidarsi ad entrare con pieno diritto all'assemblea dei soci.

Assemblea dei soci convocati per l'elezione del Preposto


-Andrea: il giovane con idee nuove voleva fare piazza pulita della vecchia gestione.
-Enzino: forte dell'esperienza e della ri-conoscenza dei familiari dei nostri condomini.
-Vittorione: il più radicale dei tre con intenzioni rivoluzionarie come quella di istituire un forno crematorio per recuperare terreno...

Remo: sconsolato ed "interdetto" dalla disputa.
La famiglia: i legittimi elettori, confusi, perplessi, rassegnati e potenzialmente divertiti...

La disputa ebbe inizio.


venerdì 28 settembre 2012

La Villa dei marchesi e il salvadanio a forma di bara



La professione di mio padre non si svolgeva mai a “domicilio”, tranne per un evento straordinario.
La nobile famiglia del paese dei Marchesi Ruccellotti si trovò costretta restaurare il proprio patrimonio immobiliare a causa del degrado strutturale in cui si trovavano tutti gli edifici di proprietà.

Tale patrimonio consisteva in:
-Villa padronale con annesso giardino e orto botanico
-Residenza per il “fattore” e la sua famiglia
-Scuderia e stalle verie
-Limonaia (gigantesca)
-Cappella privata.

Il lavoro, affidato ad una ditta specializzata della città, progrediva rispettando i tempi di “consegna” e in modo corretto, fintanto che i manovali specializzati della suddetta si opposero a svolgere il lavoro di esumazione dei cari avi sepolti nella Cappella di Famiglia. 
Dopo varie discussioni, venne deciso di chiedere al bravo custode del cimitero di eseguire tali lavori.

Mio padre accettò ma si trovava a corto di mano d'opera. Vittorione ideologicamente contrario a svolgere qualsiasi servizio  in casa di aristocratici ed Enzino, per un suo non ben precisato “voto”, non poteva entrare inella residenza dei Marchesi. Così, insieme a mio fratello fui arruolato anch'io.

Dodici salme, divisi in sarcofagi e loculi. Tutti riposavano da oltre 50 anni e sicuramente necessitavano l'esumazione richiesta per una meritata nuova collocazione dei loro resti mortali. 
Avevo già partecipato ad un'esumazione, anche se con esito non totalmente positivo, per cui ero pronto a far ricredere Remo sulle mie doti professionali.  
Il mio ruolo consisteva in depositare le ossa, che Remo e Andrea opportunamente ripulivano e ne identificavano l'appartenenza, in una sorta di scatola di stagno. 
Munito di guanti di gomma, che potevano essere da giardinaggio o da casalinga per lavare i piatti, prendevo con delicatezza i pezzi che mi passavano uno ad uno e li ponevo con cura ognuno nelle proprie scatole. 
Tra quelle dodici salme c'era anche uno sfortunato avo dei Marchesi scomparso quando aveva poco più di due anni, e quando mio fratello mi passò la calotta cranica del bambino con “appiccicati” ancora i pochi biondeggianti capelli del nobile infante, le mie mani non riuscirono a stringerla come dovevano lasciandola cadere in terra. 

La sera a casa, mio Padre, che mi vedeva ancora leggermente turbato per quell'esperienza, tentò di tranquillizzarmi raccontando le sue esperienze di esumazioni dove trovava scheletri in posizione non “consona” lasciando capire che il malcapitato era stato erroneamente valutato come defunto e quindi seppellito vivo. Chissà perchè Remo pensava che quei racconti potessero esorcizzare in qualche modo la mia esperienza, forse perchè tra le righe dei racconti mio padre dovevo leggere e capire che potrebbe andare sempre peggio.

Comunque ci pensò Bianca a rimediare, regalandomi un salvadanaio a forma di bara dove sulla base superiore si poneva una moneta e da sotto un pezzo di stoffa nero usciva una mano di scheletro per carpire la moneta ed introdurla nella bara e per finire un teschio emergeva per ringraziare del lauto deposito.



Mi permetto di affermare che questo inconsueto metodo pedagogico di mia madre, funzionò egregiamente.


lunedì 10 settembre 2012

Il mio ex "giardino monumentale d'infanzia"


Rovistando tra il deposito della memoria, ho ritrovato una cartolina postale raffigurante il mio giardino in stile "eclettico" con elementi gotici su struttura pseudo romanico-toscano con influenze rinascimentali.
Sul timpano centrale una statua di San Sebastiano in pieno martirio, simbolo e santo protettore delle Arciconfraternite italiane.

San Sebastiano di Guido Reni


L'iconografia classica di San Sebastiano lo raffigura durante il suo martirio trafitto da frecce mentre lui seminudo è legato ad un albero. La posa languida e per alcuni versi ambigua e l'espressione del volto quasi "soddisfatto", ha ispirato Yukio Mishima per la sua opera "Confessioni di una maschera" e non solo. 



"Era una riproduzione del San Sebastiano di Guido Reni. Il tronco dell'albero del supplizio, nero e leggermente obliquo, campeggiava sullo sfondo tizianesco d'una tenebrosa foresta e d'un cielo serotino, fosco e distante. Un giovane di singolare avvenenza stava legato nudo al tronco dell'albero, con le braccia tirate in alto, le cinghie che gli stringevano i polsi incrociati erano fermate all'albero stesso. Non si scorgevano legami d'altra sorta, e l'unico rivestimento delle nudità del giovane consisteva in un ruvido panno bianco che gli fasciava mollemente i lombi.



Immaginai che fosse la descrizione di un martirio cristiano. Ma siccome era dovuta a un pittore della scuola eclettica derivata dal Rinascimento, anche da questo dipinto che raffigurava la morte di un santo cristiano emanava un forte aroma di paganesimo. il corpo del giovane - lo si potrebbe perfino paragonare a quello di Antinoo, il favorito di Adriano, la cui bellezza fu così spesso immortalata nello scultura- non reca alcuna traccia degli stenti o dello sfinimento derivati dalla vita missionaria, che improntano l'effigie dei santi: questo palesa invece unicamente la primavera della gioventù, unicamente luce e piacere e leggiadria.



Quella sua bianca e incomparabile nudità scintilla contro uno sfondo di crepuscolo. Le braccia nerborute, braccia di un pretoriano solito a flettere l'arco e brandire la spada, sono levate in una curva armoniosa e i polsi s'incrociano immediatamente al di sopra del capo. Il viso è rivolto leggermente in alto e gli occhi sono spalancati, a contemplare la gloria del paradiso con profonda tranquillità. Non è la sofferenza che aleggia sul petto dilaniato, sull'addome teso, sulle labbra contorte, ma un tremolio di piacere malinconico come una musica. Non fosse per le frecce con le punte confitte nell'ascella sinistra e nel fianco destro, egli sembrerebbe piuttosto un atleta romano che allevia la stanchezza in un giardino, appoggiato contro un albero scuro.



Le frecce si sono addentrate nel vivo della giovane carne polposa e fragrante e stanno per consumare il corpo dall'interno con fiamme di strazio e d'estasi suprema. Ma il sangue non sgorga, non ha ancora infuriato il nugolo di frecce che si vedono in altri dipinti del martirio di San Sebastiano. Qui invece, due frecce solitarie mandano le loro ombre quiete e delicate sopra la levigatezza della pelle, simili alle ombre d'un ramo che cadono su una scala di marmo."

Yukio Mishima 




Mishima che interpreta San Sebastiano


Così il nostro caro San Sebastiano, dall'alto della sua posizione, vegliava dolcemente anche sulla mia famiglia per l'intera durata del nostro "patronato cimiteriale".


venerdì 27 luglio 2012

Post-epilogo: il cimitero sott'acqua.





Il “carosello” del nostro giardino di alcuni anni prima, fu contrassegnato da un periodo incessante di pioggia. Per cui la “festa” di quei giorni fu abbondantemente ridotta ad una versione povera di visite e banchi che vendevano I vari gadget dedicati all'occasione.
Noi abitavamo già fuori dal giardino. All'alba del quattro novembre, fui svegliato da numerosi spari che echeggiavano in lontananza. Incuriositi tutti quanti accorremmo alle finestre che davano sul cimitero. Con grande stupore scoprimmo che questa volta abitavamo realmente su un isola. Oltre un metro di acqua circondava la nostra casa e il cimitero era completamente sommerso!

Spaventati e attoniti. Le mie sorelle prese dal panico cominciarono a piangere, Bianca pensò subito alle provviste che erano in casa, Remo immediatamente indosso gli stivali da pescatore alti oltre il ginocchio e scese per monitorare la situazione.
Gradualmente il mio spavento si trasformò in divertimento, non dovevo andare a scuola e potevo vivere direttamente quell'avventura in modo eroico come avevo sempre immaginato che dovesse fare un personaggio che interpreta il ruolo dell'aiuto becchino.
Bianca uscì sul pianerottolo posto al primo piano per raccomandare remo di fare attenzione e si accorse che dal cancello del cimitero stava uscendo una flotta di serpi che ondeggiavano a filo d'acqua verso le scale della nostra abitazione.
Bianca gridò come una indemoniata per tentare di far cambiare rotta a quelle viscide “imbarcazioni”, le mie sorelle presero le granate di casa e le batterono sulla righiera della scala e io munito di secchio trasformato in tamburo per l'occasione mi unì a quella band improvvisata per dar vita ad un concerto di suoni infernali. Intanto Remo attraversò le serpi in direzione contraria come un gigante che emergeva dal mare, fino ad arrivare dentro il giardino.

Per due giorni interi restammo isolati, l'unica compagnia erano gli spari che provenivano dagli abitanti delle case coloniche intorno a noi, che per salvarsi erano finiti sui tetti delle loro abitazioni e qualche passaggio di canotti dei vigili del fuoco che si informavano sulla situazione.

Tombe sottomarine, corpi di giovani donne e uomini nudi che fluttuavano sereni nell'acqua con in mano le loro foto stampate sul supporto di ceramica. Mentre immense campane di bronzo continuavano ad oscillare producendo il loro suono muto con il quale facevano danzare quei corpi in totale libertà. Il sapore della morte insieme a palpiti di vita passata.

Scema! Sta scemando, l'acqua sta scemando!”
Il grido di Bianca mi svegliò al nostro umido terzo mattino. L'acqua si stava ritirando lasciando fango e detriti vari.
Il giorno dopo fu quello veramente tragico. Arrivarono decine di camion carichi di carcasse di poveri animali affogati. Cavalli, mucche, pecore, cani e gatti provenienti dal territorio circostante furono seppeliti nel campo a fianco del nostro giardino. La calce che vi gettarono su quei corpi prima di coprirli con la terra smossa, produsse un forte acre odore che pervarse per giorni la nostra zona.
Un nuovo cimitero nascosto, adesso sorgeva accanto al mio giardino.
E le campane sottomarine smisero di suonare.

venerdì 6 luglio 2012

La formazione tipo


La formazione tipo della famiglia era la seguente:


1)   Tovaglia sintetica con decorazione floreale
2)   Aurelia
3)   Onelia
4)   Dino
5)   Gabriella
6)   Andrea
7)   Anna
8)   Marco
9)   Graziella
10) Aiuto Becchino
11) Remo
12) Bianca
13) Orologio a Cucù stile "sudtirol" in plastica dura
14) Upupa imbalsamato mentre spicca il volo (catturato e ucciso da Remo durante un'esumazione nel giardino di famiglia)


"Lulù" brano musicale di Alessandro Di Puccio, eseguita da Les Italiens

martedì 3 luglio 2012

Album fotografico n.1





La famiglia felice del Becchino prima del mio arrivo.
(una normale famiglia anni 50')


Fratello, sorella piccola, mamma, babbo, sorella grande.
Alle loro spalle il muro esterno della nostra casa nel grande condominio.



mercoledì 20 giugno 2012

L'ultima epigrafe (al pantografo).



36° episodio de "L'Aiuto Becchino"


Teatro dell'illusione e illusiorietà dell'esistenza, inganno e disinganno e la teatralità della vita.

Pierre Corneille “l'Illusion Comique” (1660)
atto primo scena prima
Dorante:
Il mago che a un suo cenno ribalta la natura, come palazzo ha scelto questa spelonca cupa. La notte che lui stende sull'orrida dimora scostando il fitto velo soltanto a un falso giorno di quella luce incerta in questi luoghi ammette solo quanto il rapporto con le ombre concede. Non spingetevi oltre; ai piedi della roccia ha disposto il castigo per chi tenta l'approccio: e l'antro che vedete è un muro invisibile di aria in sua difesa del tutto inaccessibile che gli fa da bastione. Su questi funesti orli uno strato di polvere ricopre mille morti. Temendo alla sua quiete più che alla sua difesa annienta gli importuni insieme a chi gli offende. Frenate l'impazienza e la curiosità, occorre per parlagli che si senta a suo agio. Tra poco lui farà la solita comparsa e fuori dalla grotta uscirà a ricrearsi.”

Avevo voglia di terra ferma. Togliere le ancore dalla casa che era diventata semplicemente il pontile della mia isola da cui mi sentivo quasi minacciato.
Gli anni della scuola media passarono velocemente tra le pseudo avventure con gli amici e le mie nuove mansioni nel giardino. Remo si era dotato di mezzi tecnologici nuovi per affrontare la manuntezione ordinaria del cimitero e i lavori con il marmo. Mi ero offerto di tagliare periodicamente l'erba nei “quadri” con il potente tagliaerba elettrico, di recente acquisto e avevo imparato ad usare il “pantografo”, desiderato e voluto fortemente da mio fratello Andrea. Il pantografo era una sorta di copiatore meccanico costituito da due punte guidate in parallelo da un braccio che veniva guidato dall'operatore. Una punta seguiva un disegno, un angelo, il volto di Gesù afflitto, etc.. oppure le lettere con cui realizzare l'epigrafi sulla lapide. L'altra punta incideva sul marmo perfettamente ciò che la prima “copiava”. Forse a causa di questa macchina decisi che il mio futuro fosse l'istruzione tecnica superiore per geometri. Immaginavo che la professione del geometra sarebbe stata la più adatta alle mie aspirazioni di falso disegnatore. Ero bravo a copiare quei disegni di immagini dolci e malinconiche. Copiavo nomi, date e immagini di vite finite di tanti ex abitanti di questo mondo, omaggiandoli con l'ultimo loro segno lasciato ai viventi, inciso sul marmo.

Cominciai a frequentare in città, l'istituto tecnico per Geometri. La scuola era vicina alla casa di mia zia Liliana ed io, spesso mi fermavo da lei prima di tornare a casa. I nuovi amici, la scoperta della città, le prime emozioni erotiche e l'impegno politico e culturale che stavo vivendo con frenesia e avidità; mi portò a supplicare mia madre che mi desse il permesso di soggiornare per tutta la stagione scolastica da mia zia.
Così lasciai entusiasta la mia isola a favore della nuova vita cittadina.
Avevo un appetito straordinario di novità e vita in genere. Ogni cosa che mi capitava la divoravo immediatamente, accumolavo in eccesso quelle vibrazioni vitali che rischiavo “l'obesità energetica”.
Mi sentivo pronto ad affrontare tutto ciò che mi sarebbe successo nella vita.

Nella mia vita avrei potuto gioire e soffrire, far gioire e far soffrire, viaggiare e sognare, impegnarmi e riposarmi, incazzarmi e umiliarmi, deprimermi ed esaltarmi.
Avrei potuto innamorarmi fino allo sfinimento e avrei potuto desiderare di morire all'istante, avrei potuto ascoltare e fare l'indifferente.
Inoltre avrei potuto sposarmi, fare un figlio e separarmi, avrei potuto vedere morire entrambi I genitori e amici cari, avrei potuto cadere in difficoltà economiche e risalire con grande sacrificio, avrei potuto diventare servo del potere ed un eroe mancato.
Avrei potuto riconquistare l'amore delle persone a me vicine  trovando nuovi stimoli e nuovi amori.
Insomma avrei fatto tutto quello che le persone normali fanno nella vita.

Ma, un'estate in cui tornavo a bagnarmi nelle acque della mia isola, Remo si rivolse a me chiedendomi come mi andava.
Babbo, vado piano ma sempre avanti
Risposi orgoglioso, con il suo unico consiglio che mi aveva dato. 
Dopo poco andai in paese per controllare gli eventuali cambiamenti che aveva subito in mia assenza.
Incontrai alcuni amici che mi invitarono a fare il bagno nel fiume locale. Tra loro, anche Angela. Con riluttanza accettai. Angela mi sorrise e giunti nei pressi del fiume, tutti si spogliarono per il tuffo collettivo nell'acqua fresca.
Guardando negli occhi Angela mi scordai che non avevo la benchè minima nozione di nuoto e non capivo perchè stavo facendo una cosa del genere.
I raggi del sole filtravano dall'alto nell'acqua ed io vedevo l'immagine liquida di Angela che si allontanava e più tentavo di emergere, più la sua immagine diventava indistinta e sfocata.

Una corrente mi trascinò miseramente a fondo. Mi voltai per capire da dove provenisse quella forza impetuosa e mi parve di scorgere due enormi campane sottomarine che oscillando alternamente tra loro producevano quel fatale vortice.

I raggi di luce si spensero ed io, lentamente, tornai nella mia isola.

Io ero morto ma la vita e la storia continuano.


lunedì 11 giugno 2012

La coppia di gatti siamesi e la paura.


35° episodio de "L'aiuto becchino"


L'assestamento morfologico e vitale della mia famiglia, procedeva spedito in un'unica direzione quella del “continente”.  Avevo lasciato l'isola.  
Frequentavo la scuola media pubblica, Angela non era più una mia compagna di classe ed io la sostituii con amici maschi che dimostravano il loro coraggio virile con sporadiche visite a casa mia. Visite che finivano sempre con una avventurosa caccia alla lucertole tra le lapide più vecchie. 
In queste occasioni poteva vestire i panni di “Caronte” guidando gli incauti nuovi amici nei meandri del mio giardino. Angoli scuri di cappelle trascurate dai visitatori, i meandri delle file dei loculi abbandonati fino ad arrivare al fantomatico ossario, del quale, avvicinandomi alla porticina d'entrata raccontavo quel luogo proibito nei minimi particolari. Poi arrivava la leggenda del guanto nero, che Aurelia, sapientemente narrava a noi poveri nipoti.

Nonostante questo mio nuovo ruolo, che permetteva di crearmi una aurea di fascino e mistero intorno a me, io mi sentivo quasi a disagio, come se non mi riconoscessi più nel mio stesso luogo d'infanzia.  Alla fine dei miei racconti, quello più spaventato ero io.



Nel frattempo il viaggio nel continente di Bianca procedeva a gonfie vele. Le visite delle due sorelle,  Onelia e Liliana, diventarono più assidue e quegli incontri, conditi da tè e biscotti, assumevano l'aspetto di un vero e prorio “salotto-bene” in cui aggiornarsi sulle vicende delle rispettive famiglie e commentare i protagonisti dei programmi televisivi più seguiti. 
Le tre donne mature, cresciute in un luogo estremo che avevano attraversato difficoltà incredibili e affrontato situazioni al limite della realtà, improvvisamente si erano trasformate in tre rispettabilissime lady dell'alta società che amabilmente conversavano del più e del meno, sorseggiando una buona tazza di tè.

Da questi incontri, forse, Bianca partorì l'idea di acquistare una coppia di gatti siamesi. Ritenuti indispensabili per presentarsi adeguatamente nel continente. 
Il continente di mia madre era la spiaggia con ombrellone nello stabilimento balneare vicino alla città delle pietre sante, dove ci recavamo dagli scultori per rifornirci di materiale marmoreo. 
Nel pieno della stagione, nel periodo ferragostano, mia madre ed io ci presentammo in spiaggia entrambi con un paio di occhiali da sole versione extralarge ed una bellissima coppia di gatti siamesi a guinzaglio.
Le povere bestiole, costrette a diventare oggetti dimostrativi dello status raggiunto, soffrivano non poco del caldo estivo e facevano del loro meglio per adeguarsi a quella immensa lettiera in cui si ritrovavano.
Il periodo “marino” della famiglia, veniva trascorso ormai solo da me e mia madre. Remo troppo occupato da quel lavoro “che non muore mai” e le mie sorelle dispensate per età e per sopraggiunti impegni sentimentali. 
Così, per la prima volta, quell'estate mi trovavo a passare da solo con mia madre e i siamesi la vacanza estiva e per la prima volta subivo un disagio causato dalla compagnia materna.

Agognavo il ritorno alla mia “Itaca” e contemporaneamente pensavo a casa con spavento.
Sorgeva spontaneamente un latente e incomprensibile senso di paura.

Dei siamesi, fortunatamente ho rimosso il ricordo della loro “fine”, ma ricordo bene che quell'estate furono il principale oggetto di discussione in tutta la costa tirrenica.


martedì 5 giugno 2012

Post riflessivo a posteriori n.4


“Il passato non è una terra straniera, semmai la patria lontana, ed è piuttosto il presente a essere straniero”.
Messaggero d'amore di J. Losey

"La nostalgia è indispensabile alla gestione dell'io e delle sue discontinuità: le paure e i disagi del presente, minacce per la conservazione dell'identità personale dei soggetti, vengono bilanciate dal richiamo un sé precedente, cha al limite può anche essere più bizzarro ed esclusivo di quello presente....garantisce la coesione dell'io in una doppia direzione: da un lato certificando la non completa appartenenza al proprio ruolo sociale (io non coincido con la mia professione o il mio status attuale, in me c'è dell'altro: il consumatore di fumetti o di canzonette di cui in apparenza vergognarsi).
La memoria è un procedimento mentale, che riguarda certo i sentimenti e le emozioni, ma appartiene anche (anzi soprattutto) alla sfera della conoscenza. La nostalgia è un sentimento, una passione avrebbero detto i filosofi."
L'invenzione della nostalgia di Emiliano Morreale

Forse siamo sospesi tra passato e ricordo, tra verità e magia, tra percezione e illusione...
Ma ricordare fa male?

giovedì 31 maggio 2012

Il figlio di Godzilla vs il figlio del becchino.


34° episodio de "L'Aiuto Becchino"


L'evento della casa nuova produsse le normali trasformazioni del caso e questo mi indusse a percepire la differenza dallo stato passato dove non esisteva  miseria ma una sorta di autarchica gestione sociale, rispetto al nuovo stato che ci costringeva ad una inevitabile assimilazione sociale e culturale.
Gabriella si rassegnò e prese la via del dancing locale dove poche visite dopo incontrò Dino, con il quale avviò una stabile e normale relazione sentimentale. 
Lo spazio della casa nuova diventeva sempre più dilatato ed io, cominciai a prenderne possesso lasciando un segno della mia presenza in ogni stanza. 

Con le mie sorelle vi erano nove e dieci anni di differenza. Da piccolo, e loro adolescenti, funzionavo da deterrente per ogni sorta di approccio sentimental-erotico che Graziella e Gabriella intendessero realizzare. Ogni uscita domenicale che le due fanciulle facessero, erano costrette da Bianca ad portare il fardello del fratellino a seguito. La loro insofferenza per questo obbligo familiare si manifestava nei modi più vari. 
Il classico espediente per annullare l'effetto devastante che producevo alle loro micro avventure, era costituito dalle seguenti fase:
A); parcheggiarmi nel cinema del paese, 
B); riempirmi di sacchetti di lupini e semi per la visione del film in programmazione,
C); sgattaiolare via nel buio della sala,
D); venire a ritirare l'ingombrante “pacco” a fine pomeriggio. 

Probabilmente quella domenica, le mie sorelle erano state coinvolte eccessivamente dalla loro scappatella, tanto da scordarsi che erano già passate le due ore canoniche del film. 
In programma c'era “Il figlio di Godzilla”, che diventò presto uno dei miei film preferiti fino all'età adulta. Riuscì a vederlo di seguito per ben due volte complete più una parte del primo tempo per la terza volta. Non mi accorsi della loro assenza fino all'accensione delle luci per l'ultima proiezione  serale. 
Ero talmente ammaliato dalle peripezie del giovane mostriciattolo, il quale doveva cavarsela anche senza l'aiuto del babbo Godizilla, che non sentivo la necessità di condividere quelle immagini con due adolescenti femmine in preda a ben altri fremiti di vita.  


Il figlio di Godzilla, doveva lottare contro mostri più grandi e prepotenti di lui e ci riusciva  nononostante la mancanza della guida paterna nella lotta per la sopravvivenza nella giungla post-atomica. Quel contesto mi ricordava tanto la mia personale giungla. 
Gabriella e Graziella mi trovarono sepolto dalle bucce di semi e lupini che avevo in dotazione e a fatica riuscirono a strapparmi dalla sedia. Di corsa tornammo a casa, dove le attendevano ovviamente le solite sfuriate di nostra madre.
Grazie alle mie sorelle, riuscì a godermi tutta la saga cinematografica giapponese, diventando un potenziale concorrente di quiz televisivi sulla materia: “Splendori e miserie di Godzilla ed affini”.

Dopo il trasloco cominciarono ad abbattere la nostra casa del cimitero per fare posto a nuove cappelle. Questo lavoro si svolse in brevissimo tempo e noi assistemmo alla distruzione del nostro passato dal primo piano della nostra nuova abitazione. 
L'azzurro degli occhi di mia madre divenne più brillante, quando la grù dette il colpo finale alla costruzione e cadde l'ultimo muro. Il muro dove Bianca e Aurelia avevano nascosto le reliquie dei propri figli. Ogni dente di latte che ci era caduto, le due donne lo avevano incastrato tra gli interstizi delle pietre che componevano quel muro a mò di segno indelebile della nostra esistenza. 
Il muro faceva parte del perimetro esterno del cimitero. Il muro separava la nostra isola dal resto del mondo. 
Ora quel muro era un cumolo di macerie e polvere.

le nuove cappelle...

venerdì 18 maggio 2012

Il salotto buono, il sapere e la luce televisiva

33° episodio de "L'aiuto Becchino"




Avevamo preso possesso della casa. La prima notte fuori dal cimitero, paradossalmente, mi spaventava. Inoltre avevo una camera solo per me. Spoglia di ogni accessorio e con un arredo essenziale al limite della pura tristezza. Un piccolo armadio di legno laccato lucido nero,  una rete singola, una sedia con tavolino e uno scaffale che avrebbe dovuto ospitare libri e tutti quegli oggetti che segnano un'individuo, così come un adolescente, nel proprio percorso di vita. Ma i miei “totem” erano poco adatti all'esposizione, così lo scaffale rimase vuoto come gli altri circa dieci metri quadrati della stanza. Percepivo la mancanza di oggetti a me familiari come tutti gli ammennicoli,  arnesi e gingilli della attività principale di mio padre.

La notte la passai senza chiudere occhio fisso a guardare nella penombra quello scaffale deserto. La mattina seguente, durante la prima colazione, ne parlai con Bianca che approfittò della prima visita di un venditore di enciclopedie, per riempirla con sedici volumi della superillustrata enciclopedia “il Sapere”. 
Era il segno del nostro cambiamento. La nuova casa ci permetteva di ricevere anche le visite inattese come quelle dei venditori porta a porta, cosa che nella precedente abitazione sarebbe stato impensabile. 
La casa stava assumendo una fisionomia più standard e simile a tante altre. Il salotto “buono” era completo. Mancava solo l'ultimo importante elemento, il tocco finale: la televisione.
La vecchia televisione che avevamo precedentemente, non venne presa in considerazione per utilizzarla in una casa come questa. La televisione in questione necessitava di un trasformatore esterno grande quanto la televisione stessa e non era consona allo stile della nuova casa, di conseguenza fu abbandonata tra le nude mura della vecchia abitazione . Bianca decise di acquistare un nuovo apparecchio televisivo fidandosi dei consigli e dell'installazione di Marco.

Marco aveva una nuova opportunità di affacciarsi in casa nostra dopo la vicenda e le conseguenze del teatro. E nonostante le vivace proteste di Graziella, Bianca scelse lei per fare gli onori di casa e seguire Marco nell'istallazione della televisione. Graziella lo accolse con freddezza e palese indifferenza soffocando ogni sentimento di insofferenza nei suoi confronti. Marco effettuò ogni fase di messa in opera dell'apparecchio fino ad arrivare all'accensione finale dello strumento tanto agognato da tutti noi. 
Mentre Marco dava le istruzioni necessarie per la sintonizzazione dei canali (due) e gli accorgimenti per una buona visione, Graziella lo seguiva nervosamente. Ma quando lo schermo televisivo si accese irradiando di luce bluastra il volto di Marco in ginocchio davanti alla TV,  Graziella percepì un fremito che le permise di ammirare il profilo del volto di Marco disegnato da quella magica luce elettrica sotto una nuova prospettiva.

Graziella vide la sua luce e cambiò tutto.



giovedì 10 maggio 2012

Post riflessivo a posteriori n.3



Il consumismo può sembrare una cosa pagana, in realtà è l'ultimo rifugio dell'istinto religioso. E' possibile vedere congregazioni che si raduneranno ad adorare le lavatrici. Il fonte battesimale in cui la casalinga il lunedi mattina si immerge per ricever la benedizione del programma del lavaggio della lana...
Le persone hanno voglia di condividere, di celebrare, vogliono sentirsi unite. Quando andiamo a fare shooping partecipiamo a una cerimonia collettiva di affermazione...
Davanti ad un bancone, la maggiore occasione di confronto che la razza umana ha con l'esistenza, non c'erano ieri, non c'erano corsi e ricorsi storici ma soltanto un intenso presente commerciale.
"Regno a venire" di J.G Ballard

Perchè non è  possibile immaginare un cimitero al centro commerciale? Se il "non luogo" per eccellenza  è diventato la cattedrale e luogo di culto dei nostri giorni, allora potremmo proporre la ritualità della visita ai propri cari estinti, abbinandola tra un acquisto alimentare e l'altro.
Almeno lo show room di una impresa funebre, tra un Apple Store e un Oviesse, io lo vorrei vedere!
Così conforteremo Nobert Elias che scrisse:

Mai come al giorno d'oggi, gli uomini sono morti così silenziosamente e igienicamente, e mai sono stati così soli. I morti devono venire isolati, separati dai vivi. Ma anche questo fatto, come tutti gli altri, è dovuto ai mutamenti sociali, quindi alla rimozione dell'idea, del pensiero della morte, e alla repressione, al controllo e all'occultamento delle emozioni che caratterizza la nostra società, impegnata a "relegare dietro le quinte" tutto ciò che può turbare la nostra "sensibilità" odierna.


Vi ricordate il primo "Zombi" di George Romero?  Ambientato in un mega centro commerciale.



giovedì 3 maggio 2012

Lo Stress da trasloco in bara con cucina economica.


32° episodio de "L'Aiuto Becchino"



La piccola rivoluzione che aveva coinvolto la mia famiglia stava per giungere all’epilogo finale. Mancava il trasloco nella nuova abitazione distante ben 10 metri dal cimitero e sembrava che questa residenza mi allontanasse definitivamente dal mio strano giardino d’infanzia. 
La fisionomia della famiglia aveva subito variazioni radicali con la partenza di Aurelia e Andrea, anche se per motivi diversi tra loro, e Bianca sembrava percepire che Graziella e Gabriella sarebbero state le prossime ad essere coinvolte negli inevitabili cambiamenti futuri.

In breve tempo Andrea, anche se con latente rassegnazione, aveva sistemato la nuova propria situazione familiare ma continuava ad aiutare Remo con i lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione del giardino. Questo gli permetteva di pranzare ancora con noi quasi tutti i giorni. Poteva gustare i manicaretti della Bianca all’aroma di polvere di marmo, permettendogli di sentire meno il distacco da quell’ambiente che ci aveva cresciuti tutti quanti.

E arrivò il giorno della casa nuova. Da questo momento avevamo due settimane di tempo per arredarla e traslocare tutto quanto, compreso le attività di mio padre. Questo consisteva nel preparare lo “show room” delle casse al piano terra, dove oltretutto ci era imposto di utilizzarlo anche come garage per la nuova automobile funebre. Contemporaneamente, mio padre costruì, abusivamente, nel retro della casa una sorta di capanna adibita a laboratorio del marmista nonché a pollaio. Vi furono collocati i nostri preziosi amici pennuti, ai quali furono aggiunti “contenitori” atti ad ospitare due coppie di conigli, che mio padre decise di acquistare arricchendo così il nostro personale allevamento di carne. 
La capanna in questione divenne il laboratorio di marmista più vivo che fosse mai esistito, dove, tra marmi da decorare e accessori affini, poteva saltare fuori una covata di uova o piccoli pulcini spauriti che “rimbalzavano” tra una croce di bronzo e una cornice con foto del caro estinto.

Ovviamente il piano superiore fu lasciato in mano alle donne per scegliere lo stile dei mobili e l’assegnazione delle stanze. Essendo rimasti solo in cinque, io potevo usufruire di una camera esclusivamente per me. Mentre le mie sorelle si dovevano dividere l’altra. 
In una cosa Remo fu categorico: che in sala da pranzo, oltre ai fornelli a gas, ci fosse la solita cucina economica a legna, elemento imprescindibile per la cottura di una buona e vera polenta di farina gialla. In cambiò lasciò libera Bianca nella scelta dei mobili per il “salotto buono”. Qui la mia memoria è stata generosa, di sua iniziativa ha rimosso il ricordo di questi mobili e  soprammobili connessi, come l’enorme bambola sul letto matrimoniale che mia madre aveva preteso a dimostrazione del ritrovato successo sociale di tutta la famiglia. Un sogno che finalmente a Bianca le si era avverato.

Nel giro delle due settimane richieste dalla Arciconfraternita era stato eseguito tutto il trasloco, compreso l’insediamento. Il mezzo di trasporto degli infiniti elementi che costituivano lo scheletro materiale della nostra famiglia, compreso la cucina economica, era la “bara”. 
Remo identificava la bara non con la “cassa da morto”, bensì con quella pseudo lettiga con cui trasportavamo la cassa una volta uscita dal carro funebre fino al luogo di residenza finale del defunto. 
La nostra bara costruita in legno massiccio ma ridipinta più volte con uno smalto color fucsia scuro, così almeno a me pareva, era lunga a sufficienza per depositare ogni tipo di cassa e finiva agli estremi con quattro manici consunti e rovinati dal continuo uso. Il tutto era sostenuto da quattro ruote, le quali non riuscivano mai a mantenere la direzione intrapresa. Ogni volta che ci trasportavamo le casse questo ultimo tragitto che il defunto doveva adempiere nei viali del cimitero era contrassegnato da una fugace serpentina a zig zag e spesso il corteo assumeva l’andamento della bara. 
Insomma, la bara era uno strumento fondamentale per l'attività quotidiana del nostro giardino. E in virtù dell’autorevolezza del mestiere e delle radici longobarde, Remo impose a tutti di distinguere bene la "bara" dalla "cassa". 

Vedere la bara sorreggere uno strumento di cucina e non la solita cosa fu emblematico della nostra piccola grande rivoluzione in atto.



giovedì 26 aprile 2012

Post riflessivo a posteriori n. 2



La cosa più ingiusta della vita è come finisce. 
Voglio dire: la vita è dura e impiega la maggior parte del  nostro tempo...
Cosa ottieni alla fine? La morte. Che significa? Che cos'è la morte? Una specie di bonus per aver vissuto?
Credo che il ciclo vitale dovrebbe essere del tutto rovesciato.
Bisognerebbe iniziare morendo, così ci si leva il pensiero. Poi in un ospizio dal quale si viene buttati fuori perchè troppo giovani. Ti danno una gratifica e quindi cominci a lavorare per 40 anni, fino a che sarai sufficientemente giovane per goderti la pensione.
Seguono, feste, alcool, erba ed il liceo. Finalmente cominciano le elementari, diventi bambino, giochi e non hai responsabilità, diventi un neonato, ritorni nel ventre materno, passi i tuoi ultimi nove mesi galleggiando e finisci il tutto con un bell'orgasmo!

Woody Allen


Il problema sociale della morte è molto difficile da risolvere perchè i viventi hanno difficoltà a identificarsi coi morenti. La morte è un problema che riguarda i vivi.
La morte è uno dei più grandi pericoli bio-sociali che minacciano la vita umana. Così come altri aspetti dell'esistenza che appartengono alla vita animale, la morte, sia in quanto pensiero che in quanto processo, viene relegata in larga misura dietro le quinte della vita sociale nel corso del movimento che produce la civilizzazione.
La morale dell' homo clausus, dell'uomo che si sente solo, diventerà in fretta caduca se non rimuoveremo più la morte, ma l'accetteremo come parte integrante della vita.

Nobert Elias


Due posizioni discordanti?...

venerdì 20 aprile 2012

Il frullatore impazzito contro le nozze e i fichi secchi.


31° episodio  de "L'aiuto Becchino"


Bianca aveva vietato a tutti di raccontare l'accaduto ad Andrea. Ad Enzino fu addirittura imposto il triplice giuramento sul crocifisso di casa: se avesse riferito, o solo accennato,  ad Andrea quello che Aurelia-Tobia gli aveva detto, sarebbe stato colto dalla collera perenne della Bianca per il resto della sua vita.   Al momento, nessuno sembrava pensare che quella bizzarra apparizione potesse essere stata frutto di un colpo di sole del povero Enzino, ma non importava: a scanso di equivoci era stata imposta omertà assoluta.
Trascorsero i giorni che ci separavano dal lieto evento tra imbarazzo e impazienza nell'assistere alle prime nozze di un membro della nostra famiglia. Primo e Cosetta, i genitori di Anna, avevano donato alla giovane coppia un terratetto di proprietà, situato ai margini della piazza del paese, poco dopo la chiesa dove si sarebbero uniti in matrimonio. Mentre a Remo spettava l'onere del pranzo nunziale che aveva predisposto nel migliore ristorante locale, anche perchè l'unico adeguato ad ospitare 100 coperti. Il viaggio di nozze consisteva nell'insediarsi in casa nuova con arredo nuovo e elettrodomestici di ultima generazione tecnologica.

Alla vigilia del giorno fatidico andammo tutti a vedere i regali di nozze, messi in esposizione sulla tavola della sala che sarebbe diventata di Andrea e Anna. Tutti gli invitati avevano il dovere di passare in rassegna questi doni offerti alla coppia. Forse per fare un confronto e sentirsi orgogliosi o vergognarsi per il regalo fatto. Anna e Andrea erano a fare il resoconto dei regali ricevuti, davanti a un vero e proprio banchetto di oggetti, adornato da utensili per cucina, soprammobili, cornici d'argento, posate, batterie di piatti e pentole, tovaglie ricamate, lenzuoli con orli raffinati e cuscini merlati, bicchieri di cristallo di boemia, set completo per il tè e caffè, tazze e tazzine, cucchiai e cucchiani in peltro. Un telefono in bachelite nero e uno stereo grande quanto un armadio erano a fianco del tavolo ormai stracolmo. 
Andrea era visibilmente nervoso: ad ogni regalo passato in rassegna da Anna, aumentava l'elenco dei tic nervosi che lo avevano assalito. Ignaro di quello a cui andavo incontro, io intanto stavo ammirando il frullatore e robot da cucina, il quale mi aveva letteralmente affascinato.  In estasi completa, mi avvicinai all'oggetto che aveva rapito la mia fantasia più di ogni altro, immaginandomi a trangugiare litri di frullati prodotti da quella meravigliosa diavoleria tecnologica. Cominciai ad ammirare ogni singolo pezzo che componeva il robot in questione, tentai di assemblarlo in qualche modo e infilai la spina alla presa. Con un solenne gesto avvicinai il mio dito indice destro al tasto di accensione e... il robot cominciò a produrre scintille e fumo. Cominciò a muoversi sul tavolo come se fosse posseduto dagli spiriti di tutti gli ingegneri creatori e innovatori dei beni domestici, infuriati per il mio gesto inconsapevole da piccolo terrorista contro tutto il sistema industriale mondiale. Infine, con un gemito simile ad un barrito di elefante indiano, il frullatore emise il suo ultimo anelito di vita e perì definitivamente. 


Andrea colse l'occasione per manifestare tutto il suo panico. Sbraitò contro di me le peggiori cose sputando non solo bestemmie e fuggì di corsa dalla stanza. 
Dopo che fu raggiunto da Remo, Andrea confessò che, mentre il frullatore impazzito stava andando verso la propria fine, aveva avuto un'ìlluminazione sul suo futuro. Aveva visto la sua uscita dalla famiglia dove viveva in una particolare isola per entrare in un'altra famiglia che viveva sulla terra ferma, ma non era riuscito a vedere il viaggio che lo conduceva su questa nuova terra. Oppure non lo ricordava questo viaggio e non capiva come ci era arrivato. Era spaventato perchè non si sentiva in movimento, anzi, si sentiva piantato con i piedi ben interrati e l'erba che gli cresceva intorno. 

Nonostante la pseudo profezia di Tobia-Aurelia e conseguente panico di Andrea, le nozze si fecero e tutto si svolse regolarmente. Uscita dalla chiesa con lancio del riso, breve gita alla chiesa più bella per fare le foto con sfondo meno “povero” e infinito pranzo di nozze con grande finale condito da confetti alla mandorla e fichi secchi di “stagione”.